Paola Baratto, Solo pioggia e jazz

19-11-2005

Il tempo è un gioco di specchi, di Claudio Baroni


Poche frasi, due pennellate. E quel pontile lo avete davanti agli occhi. Un aggettivo e su quell’isola già ci siete approdati.Ha una capacità evocativa notevole Paola Baratto. Essenziale, nitida, sicura.
Dietro la prosa levigata si coglie il lavoro certosino, ma il lettore scivola leggero come sull’acqua del lago che circonda l’isolotto di Aldien. Terra incantata, albergo di charme. Anche se il proprietario, uno strano filosofo dai lunghi silenzi, non fa alcunché per compiacere l’ospite. Ognuno cerchi la sua dimensione, si ricavi lo spazio che vuole. E gestisca il suo tempo. Ecco: il tempo... Una sola condizione viene posta al visitatore: consegnare l’orologio; semplice gesto che provoca uno spaesamento non facile da gestire. Sull’isolotto di Aldien giunge la protagonista: giornalista specializzata in guide per viaggiatori esigenti e in recensioni gastronomiche (passioni che i nostri lettori conoscono nell’autrice per i suoi articoli nelle pagine culturali del "Giornale di Brescia"). Arriva attratta dal fatto che l’Auberge de l’Ennui (attenti ai nomi, nel libro hanno un ruolo tutto da meditare) abbia una clientela fedelissima. Perché? Eppure il lago non offre paesaggi suggestivi, la cucina è generosa ma ripetitiva e tutto si consuma, come diceva il titolo di un articolo dedicato al luogo, in Solo pioggia e jazz. Lento e ripetitivo il ritmo della vita, dilatati spazi e tempi. Nulla sembra accadere... Eppure giunge, un giorno, uno strano viaggiatore ad offrire i prodotti della linea estetica Immortalia. E tutto non sarà più come prima.
La protagonista avrebbe voluto lasciare quell’isolotto dopo una sola notte, è rimasta quasi per ignavia. Tornerà pochi mesi dopo, quando Aldien è diventata un centro di benessere dove ogni attimo e ogni angolo sono «ottimizzati» nel tentativo di sfuggire alla morsa del tempo e dei suoi effetti.
Le due parti del romanzo sono costruite con simmetrica e speculare scansione. Identici i luoghi, rovesciato tutto il resto. L’Immortalità ha preso il posto della Noia. E la nuova situazione crea più disagio che serenità. Non è un caso se il direttore del centro di benessere è un medico che un tempo (quanto lontano?) faceva da assistente ai torturatori. Non più di tanto velata è la critica al mondo dell’informazione, che si divide tra chi non coglie lo spessore della situazione e chi opportunisticamente vi aderisce e si adegua.
Suggestivo questo quarto romanzo che segna il ritorno di Paola Baratto al lavoro di lungo impegno.
Lieve, essenziale e profondo.
Continua la linea ideale già tracciata dai precedenti. Se La cruna del lago rifletteva sulla fine di una generazione che approdava traumaticamente al disincanto e Finisterre narrava di un mondo dove televisione e realtà sono ugualmente prigionieri del surreale, Di carta e di luce sembrava segnare la fine senza speranza, in un’Europa irrimediabilmente corrotta, di ogni possibilità di salvare la cultura, e forse anche la vita.
Tutti questi temi riecheggiano in Solo pioggia e jazz. Deliziosa l’idea di una biblioteca dove i libri sono sezionati, scomposti in singole pagine. Angosciante il montare della marea densa del lago che incancrenisce. E tutta «barattiana» è la terza parte, appena accennata, che lascia il romanzo aperto e il lettore - divertito, sorpreso? - alle prese con emblematici specchi per le allodole.