Paola Baratto, Solo pioggia e jazz

23-02-2006

L'ossessione del tempo, di Anita Loriana Ronchi


Il tratto essenziale, nitido, sicuro, dalla forte capacità evocativa. Un nucleo centrale - il tempo - scandagliato nei suoi rimandi enigmatici, gioco di specchi che restituisce all’ineludibile finitezza del vissuto. Un libro che si misura «con un tema complesso, reso ancora più arduo dalla cifra del romanzo e dalla necessità di procedere per accumulazioni di indizi sino allo svelamento finale». Parole con cui il sindaco Paolo Corsini ha commentato l’ultima fatica letteraria di Paola Baratto, Solo pioggia e jazz, presentata al salone Vanvitelliano con l’intervento, oltre che del sindaco e dell’autrice, di Claudio Baroni, vicedirettore del "Giornale di Brescia" e di Massimo Tedeschi, inviato di "Bresciaoggi".
«Paola Baratto ha ormai raggiunto piena confidenza con una struttura letteraria non facile e che lei piega a esigenze interiori plurime» ha detto ancora Corsini, ripercorrendo i precedenti lavori della scrittrice bresciana, da La cruna del Lago del ’94, che si colloca «lungo il crinale del viaggio e dell’esplorazione di atmosfere irlandesi, stimolato dalla passione per la musica di un’isola incantata» a Finisterre, romanzo dai tratti surreali ambientato in Inghilterra. Di carta e di luce, dato alle stampe nel 2000, rappresenta - ha notato Claudio Baroni - un «grandissimo affresco della crisi dell’Europa contemporanea, nel passaggio dal secondo al terzo millennio». Ed ora l’approdo, col quarto romanzo, a una dimensione in cui la scrittura costituisce l’elemento più significativo; «scrittura scritta e non parlata», per dire di un’eleganza che non conosce improvvisazione o sciatteria: «Un libro che va letto d’un colpo solo, come una pièce teatrale, per cogliere tutte le preziosità che vi stanno nascoste» ha sottolineato il vicedirettore del nostro giornale.
La scrittrice, questa volta, s’immerge in profondità dentro un aspetto di portata esistenziale: l’evenienza del tempo, tiranno nel suo scorrere inesorabile, angosciante nel suo reclamare di essere costantemente riempito, anche quando lo si definisce «libero», ovvero da assaporare nel fluire del suo ritmo. Ma lo scotto da pagare è il «rimanere soli con se stessi e con i propri pensieri».
Molti gli elementi che affascinano nel racconto, ha rilevato Massimo Tedeschi: la raffinatezza dello stile, le invenzioni narrative originali ed incisive (dall’idea di una singolare e destrutturata biblioteca alla figura della giornalista esperta in enogastronomia, che manda all’aria i propri schemi quando non riesce a incasellare sapori e profumi), il dipinto di un’umanità variegata e quasi fatalisticamente riunita.
Il messaggio che emerge, in conclusione (ma un epilogo vero e proprio non c’è, piuttosto un invito a letture polimorfe e personali), lo comunica la stessa scrittrice: «La tendenza, oggi, a vivere il tempo come un’ossessione. I ragazzi vengono educati al terrore della noia, spinti alla socializzazione forzata, spesso delegano addirittura il divertimento alle iniziative altrui». Spunti che ci aiutano a riflettere, a rifuggire dalle strumentalizzazioni che fanno leva sulle nostre paure e a riappropriarci di ciò che maggiormente ci appartiene.