Paola Baratto, Tra nevi ingenue

01-02-2017

Intervista all'autrice, di Giancarla Paladini

Acquario con ascendente Vergine: un mix che, secondo gli esperti, comporta uno stato di perenne bilico fra pensiero creativo e rivoluzionario e solida e rigorosa concretezza. E’ una condizione certamente faticosa per chi la viva quotidianamente, ma che può portare a risultati notevoli.

Paola Baratto, che è nata con questo profilo astrale, non a caso oggi è scrittrice (dunque creativa e un po’ rivoluzionaria) e giornalista (cioè solidamente concreta e rigorosa).

Astrologia a parte, la scrittura di Paola Baratto (nata a Brescia “in una famiglia con radici in più regioni d’Italia”, come si legge sul suo sito www.paolabaratto.it: ed ecco che anche nelle rivendicate origini meticce torna il tema della sua personalità composita) viaggia fra due binari chiari e distinti: la prosa e la poesia, la descrizione della natura e la sua interpretazione, la narrazione dei fatti e le sfumature pittoriche; quasi i suoi racconti, i suoi protagonisti e le sue liriche siano degli acquerelli in cui tutto è raffigurato e tutto si sfuma, come le note di un tappeto musicale.

Infatti le arti figurative e la musica sono, insieme ai viaggi, a Parigi e alla Francia, le altre passioni di Paola Baratto: c’è traccia fortissima di tutte loro anche nel suo più recente libro, “Tra nevi ingenue”(Manni Editore), una raccolta di dodici racconti brevi, riuniti dal fil rouge dei luoghi e punteggiati da cinque gouaches, rime che scandiscono il ritmo delle pagine asciutte. Anche qui si ritrova un’ultima, immensa passione, che fa di Paola Baratto (come avviene per il protagonista di un suo precedente racconto) una “collezionista di parole”. Non usa vocaboli a caso, Paola Baratto, anzi li osserva da ogni angolo quasi fossero tridimensionali e li trasforma in ologrammi. Collezionare parole, però, è uno sport che può diventare pericoloso: la sua natura uraniana la porterebbe (e in effetti l’ha portata in passato) a usare vocaboli desueti o addirittura sconosciuti a molti, facendole correre il serio rischio di passare per criptica o, peggio, saccente; ma il severo ascendente la rimette in riga, consentendole di proporre ai lettori pennellate lievi e, tuttavia, piene di umori e riflessioni.

“Tra nevi ingenue” è, insomma, un piccolo libro da centellinare, sostando sulle parole e respirandone le atmosfere rarefatte.

L’Autore:

Paola Baratto all’inizio degli anni Ottanta debutta scrivendo poesie.
Ha quindi pubblicato i romanzi “La cruna del Lago – Tír na n Og”, Ermione Editore, (1993), “Finisterre”, Zanetti Editore (1998), “Di carta e di luce”, Zanetti Editore (2000); per Manni Editori “Solo pioggia e jazz”(2005), “Carne della mia carne” (2007), “Saluti dall’esilio” (2010), quest’ultimo presentato al Salone del Libro di Torino. Nell’ottobre 2014, nuovamente per Manni, arriva “Giardini d’inverno”: dodici racconti che sfiorano il registro poetico per dodici personaggi, che con i loro frammenti di vita vanno a comporre – come in un mosaico – una sorta di piccolo romanzo. Dal libro viene tratto uno spettacolo teatrale, per la regia di Sara Poli. Nell’agosto del 2016 l’editore Manni pubblica “Tra nevi ingenue”, una nuova raccolta di racconti intervallati da “gouaches”.

Ecco l’intervista a Paola Baratto, il cui sonoro trovate in alto, nella sezione audio di questa pagina.

Canzone consigliata: “In my life” nella versione di Judy Collins.

 

Giancarla: Ci presenti il tuo libro?

Paola Baratto: … E’ un po’ difficile… In effetti, questi non si potrebbero nemmeno definire racconti: “prose poetiche”, forse, che hanno come tema conduttore i “luoghi”. Nel corso degli anni mi sono resa conto che i “luoghi” sono sempre stati fondamentali nei miei libri; prima ancora dell’analisi dei personaggi, ho sempre approfondito la loro ambientazione, il luogo in cui la vicenda si svolge. Il luogo mi dava anche la base di suggestione poetica per dare l’avvio al romanzo. Così mi sono detta: “Perché non scrivere qualcosa sui “luoghi”, ma in maniera più soggettiva?

G.: Mi verrebbe da dire che i tuoi libri parlano delle tue passioni e soprattutto della passionaccia che hai per la parola: addirittura, in un altro libro hai dato a un personaggio molto divertente, che mi è piaciuto moltissimo, il tuo amore per la parola cesellata. Questo amore dovrebbe essere normale per uno scrittore e un poeta (tu scrivi prosa e tanta poesia), ma il tuo caso sembra diverso: la ricerca del vocabolo perfetto non nasce dall’attenzione per una migliore comunicazione, ma è quasi un gusto musicale e tridimensionale per la parola. E’ così?

P.B.: E’ esattamente così: è il piacere della scrittura. Scrivere una frase piatta non mi darebbe nessuna soddisfazione: non varrebbe nemmeno la pena di fare questo mestiere. Per questo nel personaggio che tu ricordavi, Edoardo, avevo individuato una persona che “colleziona” parole, anche desuete, per cercare di sfuggire alla banalizzazione imperante.

G.: Dai risposte molto brevi: questa estrema capacità di sintesi è la stessa che si ritrova nei tuoi scritti. Tu usi poche parole, ma sono tutte “necessarie”. E’ come se tu – così ho immaginato – ripetessi molte volte nella tua mente il racconto e poi ce ne dessi solo un esito scarnificato: …o sei una di quegli scrittori che scrivono esattamente quello che hanno pensato, buttandolo subito sulla carta?

P.B.: No: è un processo lunghissimo. Il mio primo romanzo era così denso che adesso è anche per me impossibile da rileggere, perché la mia scrittura, da allora (1993: n.d.r.) è molto cambiata: sono arrivata per sottrazione al mio stile attuale, che mi piace sicuramente di più, mi ci ritrovo. Forse quando si è giovani si è più ridondanti: in tutti i sensi, anche come entusiasmo. Oggi tendo a una scrittura più asciutta, sintetica, ma si è trattato di un passaggio “doloroso”: bisogna fare un po’ di violenza su se stessi. All’inizio non è stato semplice, anche perché togliere una parola era drammatico, ma oggi sono molto più… spietata: se una frase mi piace ma non sta bene all’interno di una pagina la tolgo. Alla fine, in effetti, le frasi sono tutte “folgorazioni”: sottraendo parole, devono essere dei flash, delle illuminazioni. Ma ci si arriva lentamente.

G.: Nei tuoi libri la Natura fa da scenario ma è anche protagonista e tu attraverso la descrizione dei luoghi racconti lo stato d’animo dei personaggi (o forse è il contrario): è così anche nella tua quotidianità? Ti rispecchi in quello che ti circonda?

P.B.: Mi piace moltissimo viaggiare, “colleziono” anche i luoghi, e questa mia passione è molto presente negli ultimi racconti: se vedo un luogo, magari nemmeno particolarmente bello, che mi suggerisce della poesia mi ci vorrei fermare, me lo porto dentro come ricordo. Mi faccio sicuramente molto influenzare dall’ambiente in cui mi trovo e quindi cerco luoghi nei quali mi possa riconoscere, che abbiano soprattutto una certa atmosfera.

G.: Sei una di quegli Artisti che creano per placare un proprio bisogno, o scrivi anche per gli altri?

P.B.: Credo sia impossibile scrivere solo per se stessi: io ho sempre chiaro che quello che scrivo sarà letto da qualcuno, magari anche solo da pochissimi. Credo che ogni testo debba essere condiviso, letto: non si può chiedere a un Autore di scrivere solo per se stesso, sarebbe un’ingiustizia, una forma di crudeltà (che però viene purtroppo spesso inflitta agli scrittori esordienti per cercare di scoraggiarli). Nonostante questo, non mi faccio condizionare: cerco di non “torturare” il lettore, ma cerco anche di non snaturami per compiacere il pubblico.

G.: Hai esordito con la Poesia e in questo libro la Poesia ritorna come una sorta di contrappunto: penso alla musica perché nei tuoi libri ci sono tanta arte, tanti bei posti da vedere e, appunto, tanta musica. Ho anche pensato che prima tu abbia scritto le poesie e poi le abbia circondate di prosa. Perché hai voluto mettere queste liriche?

P.B.: Non ricordo la genesi: ho scritto man mano sia le gouaches sia i racconti. Nelle gouaches ci sono io, decisamente: sono ricordi non abbastanza lunghi da meritare un intero racconto, sono epifanie, oppure ricordi d’infanzia che però non mi abbandonano e quindi valeva la pena farli riaffiorare e dar loro una forma.

G.: Acquerello; trasparenza; colore tirato, anzi, in alcuni punti tiratissimo; in qualche punto molto scuro, in altri più chiaro: alla fine, così è la Poesia. Per chi non abbia mai scritto una poesia degna di tal nome, è difficile riuscirci e un poeta vero sa che la Poesia è più difficile della prosa. E’ così anche per una scrittrice?

P.B.: No, non oso dire che ho scritto delle poesie, anche perché la Poesia ha le sue regole, mentre questi miei sono gesti liberi… Mi piace molto leggerla, la Poesia, perché apre la mente anche dal punto di vista del linguaggio; le parole hanno mille significati, si scopre la metafora, e quindi è molto interessante. Scriverla? Non lo so: forse, più che poesie, ho scritto qualcosa di simile alla Poesia, ecco.

G.: Se la domanda non è troppo personale, che rapporti hai, in questo momento, con la Musa ispiratrice?

P.B.: La Musa è presente e, anzi, è abbastanza invadente, è antipatica: cerco di metterla a tacere, perché attraverso momenti in cui mi dico: “Basta! Finisco qua: questo è il mio ultimo libro”… Però l’ispirazione c’è sempre: chi scrive scrive sempre, in qualunque momento; a volte, senza nemmeno volerlo, mi dico che quella sarebbe una frase giusta per un certo personaggio… Avrei molta voglia di tornare al romanzo, ma voglio approfondire alcune riflessioni con me stessa prima di imbarcarmi in una nuova esperienza di quel tipo. Però la voglia sicuramente c’è.

G.: Meno male: allora aspettiamo il tuo prossimo libro.