E Benito scriveva agli ebrei: siete al sicuro, di Mirella Serri
In prima fila, a tentare di far da scudo ai parenti, sono le madri ebree, come la vedova Elvira Finzi, insegnante elementare, con un figlio diciottenne iscritto al Politecnico, che rileva: «A me si toglie l’impiego necessario, a mio figlio la possibilità di studiare». Scrivono comunque in tanti e di tutte le categorie, professori, imprenditori, militari di carriera, venditori ambulanti. Alcuni, come Arpad Haas, non si impegnano per se stessi ma per proteggere genero e nipotini, veri «figli della Lupa». Abramo Aboaf e altri offrono somme in denaro. Prontamente accettate. Italo Foà si dichiara «Italo di nome e di fatto» e ricorda di avere sette figli. Isacco Ernesto Gallico vuole invece difendere dalla confisca un immobile a Mantova in cui ha investito tutti i suoi beni.
Alle sollecitazioni gli attivissimi funzionari di regime volentieri rispondono: le siglano con una gigantesca «M.» e le accompagnano con diciture rassicuranti per non diffondere il panico. Così la Bertiner, arrestata e trasferita a Fossoli, ancora dal campo di concentramento verga strazianti petizioni non a proprio favore ma perché la figlia sia «discriminata». La figlia si salverà, ma la madre morirà ad Auschwitz nel ‘44. Pure per lei c’era la confortante annotazione sulla lettera: «stare tranquilla». Come dire: ci pensa il Duce.