La suggestione e la consapevolezza, di Antonio Filippetti
Quello della Santucci, come tutti i libri di poesia che si rispettano e destinati a restare, ci racconta una storia individuale, soggettiva, per molti aspetti personale ma – ed è questo il traguardo della poesia vera – ci suggerisce contestualmente una puntuale ed a tratti inquietante riflessione esistenziale che ci coinvolge tutti e soprattutto chiama il lettore ad una verifica di sé e della propria condizione. Nella prima sezione, quella più corposa e che dàanche il titolo al volume, con una serie di stringati ma essenziali motivi – testi brevi e asciutti ma sapientemente strutturati in termini linguistici - Santucci delimita per così dire il proprio territorio d’azione ma anche, si direbbe, delinea il suo destino, specifica la propria condizione esistenziale, le ragioni della sua scelta, di voler essere poeta. Ed è qui anche che affiora e via via s’impone la consapevolezza dello spreco, o meglio dell’impossibilità di incidere consapevolmente visto che “il tempo è un’ora tra due estremi”. E non è presumibilmente nemmeno semplice stare dalla parte giusta giacché come ci dirà nel testo che chiude la seconda sezione e dedicato al mai dimenticato Giancarlo Mazzacurati, ci tocca vivere non nel “tempo delle fughe” ma in “questo lento presente/dove s’incrociano destini/e solitarie esistenze”.E allora l’ostacolo insormontabile non è tanto ( o non solo) la ricerca di sé e delle proprie radici quanto la difficoltà a reperire e far germogliare il terreno su cui quelle stesse radici sono appunto radicate per trovare il senso autentico del proprio esistere.