Pasquale Voza, L’utopia concreta

01-03-2010
Il Sessantotto fra passato e presente, di Lidia Menapace 
 
Scritto da un “fine letterato” (come si sarebbe detto in tempi meno selvatici, ma comunque è vero). Pasquale Voza non solo studia con acuta intelligenza eventi letterari e li colloca in una storiografia molto densa e attenta, ma anche li situa nella sua biografia di studioso con passione profonda e partecipata.
E non ci voleva di meno trattando del Sessantotto (materia che da incandescente e rimossa diventa stinta senza diventare memoria né storia) che avere la curiosità e la pietas di ripercorrerlo davvero come un presente che si radica nella catena degli eventi, con quel brusco sobbalzare, che hanno le cose che avvengono e non erano immaginabili prima. Se “natura non facit saltus”, la storia invero non fa che salti e la misura di essi, la loro non deterministica narrazione, il racconto che intercorre e interpreta ne è l’umanizzazione.
Volentieri espresso in queste parole introduttive il debito di conoscenza e di affetto che ho verso Pasquale, dirò che l’opera con la sua tenue mole, contiene però molte indicazioni di lettura e molti punti di vista critici, dipanati con ferma capacità di governare parole giudizi materiali storiografici e bibliografici.
Il Sessantotto viene interpretato come un dato di periodizzazione nei suoi elementi costitutivi e discusso per come è stato finora presentato dagli storici che lo hanno ritenuto degno di attenzione, una volta sistemato con una battuta Veneziani, il primo che tenta di avviare una lettura di tipo revisionistico.
Di grande interesse il capitolo che affronta i grandi scrittori del periodo con il Sessantotto e la loro difficile indispettita rammaricata incapacità di capire ed essere capiti, una osservazione che dice molto sulla novità dell’evento e sulla sua caratteristica di “masso erratico”, qualcosa che c’è, ma viene da un altro mondo, un’altra storia. Da Pasolini a Moravia, non piccoli nomi.
Attraverso una attenta lettura di Donolo, Voza si addentra nel dibattito se il Sessantotto fu mutamento o transizione e per questa via da lui indicata è possibile mettere Donolo in comunicazione con Samir Amin, e accumulare strumenti interpretativi della crisi capitalistica odierna sotto il profilo culturale.
Quando affronta il rapporto difficile e spesso iniquo da parte del Pci e della Cgil, Voza trova la strada giusta per dare ragione al nuovo e vedere la sinistra storica nella sua drammatica incapacità di passare dalla transizione al mutamento, cioè da una posizione di sinistra socialdemocratica a una rivoluzionaria, quando ricorda Lama all’Università di Roma, evento del quale, essendo allora responsabile della Commissione scuola del Manifesto, ho acuta personale memoria. Persino i limiti dell’ingraismo emergono con acuta intelligenza e – per me – rammarico.
Una cosa straordinaria è l’attenzione che Voza dedica al femminismo e altrettanto straordinaria è l’onestà intellettuale con cui dichiara la sua non piena capacità di leggerlo. In verità, il femminismo, letto attraverso alcuni testi non può essere capito, e lo si vede dal fatto che le risposte giuste, ma non amalgamabili, sono quelle che Pasquale riconosce e consegna ad Elisabetta Donini che parla di sé. I testi che vengono da una esperienza accademica e comunque dalla grande editoria non possono dare il senso di quelle vicende, né la portata storica del femminismo. Altrimenti resta fuori persino dalla citazione un pezzo di femminismo come quello che pure considero di destra e col quale non ho mai avuto relazioni se non tempestose e polemiche, che è la Libreria delle Donne di Milano, la loro vicenda universitaria, le lacerazioni e le interne divisioni. Resta fuori chi pur avendo posizioni accademiche, non usa la grande editoria, resta fuori chi come Annarita Buttafuoco frequenta l’accademia e la vuole mutare.
Mi pare che potrei suggerire a chi volesse andare avanti a studiare il femminismo, di convincersi che non è possibile studiarlo a parte: bisogna avere la pazienza di leggerlo dentro una nuova analisi della società italiana e abituarsi a vedere quali mutamenti di atteggiamento, parlare pensare, abitare, relazionarsi, vestire ecc. ha prodotto e produce. Fino a che studiando non ci verrà spontaneo chiederci: “ma che cosa pensa dice o fa il femminismo su questo argomento?” magari stimolati dalla nostra petulante domanda: “e le donne?”. Il femminismo resterà un evento non detto fino in fondo e la parzialità anche scientifica del punto di vista unico salterà subito agli occhi, almeno delle femministe. Ad esempio negli studi economici si pretende una attenzione meno parziale all’economia della riproduzione, e dei beni comuni, e del valore economico delle donne nell’emigrazione, e che cosa portano con sé di conoscenza del nostro recente passato, fatto di matrimoni combinati e di delitto d’onore e di considerazione della violenza come delitto contro la morale, non contro la persona, e del diritto del marito di “correggere” anche a botte ecc., almeno per non fare i virtuosi scandalizzati verso l’Islam. Bisognerà convincersi che per uscire dal medioevo islamico ci vogliono le donne islamiche che entrano in relazione con noi, di recente uscite dal medioevo cristiano, attraverso la lezione della laicità dello stato e degli ordinamenti giuridici.
Comunque moltissime grazie a Pasquale Voza che consente – anzi favorisce – questa interlocuzione anche un po’ sgarbata attraverso la grande lucidità intellettuale e tenera eticità. Senza un mutamento, addirittura una mutazione delle coordinate generali di lettura, senza cioè che il soggetto uomo avverta la sua limitatezza e parzialità, non si può capire che siamo una e un’altra metà del cielo.