Piera Mattei, L'equazione e la nuvola

01-06-2010

L’equazione della Mattei, di Luisa Pianzola

 
«Il mondo della scienza mi disloca in altro linguaggio, mi spaesa» spiega Piera Mattei nel suo ultimo libro di poesia. Ma è proprio dall’ineffabile esattezza del linguaggio scientifico (l’equazione del titolo) che l’autrice pare attratta, forse perché il senso di estraneità che ne deriva, metafora perfetta della «disponibilità inaccessibile» del reale, è una delle precondizioni essenziali al dire poetico. Il rapporto con il linguaggio dell’indagine scientifica è, insieme al viaggio, il cardine attorno al quale ruota l’intera raccolta, che affianca testi editi e inediti in un unicum soffuso di un’acutezza che l’autrice dimostra da sempre anche nel lavoro di critica. E proprio come un viaggio, «che rende lo sguardo più limpido e percettivo, ascoltando parole che hanno altro senso […] sebbene capiti che si parli la stessa lingua», il libro si snoda, prendendo l’avvio da un luogo denso di memoria (una Erice metafisica), per toccare mete più sensuali (il Marocco), via via focalizzandosi in dimensioni più urbane, contingenti (l’asettica Milano, la Roma materna, le metropoli statunitensi). Se nelle prime parti della raccolta aleggia un registro poetico rarefatto e le successive, più terrene, generano un dire sfiorato dalla concretezza, c’è una sorta di “spia” semantica che segnala come in realtà quello dell’autrice sia sempre un ruolo, doloroso e privilegiato insieme, di osservatore esterno, estraneo alla scena del reale (La finestra di Simenon): i suoi interlocutori non sono quasi mai esseri umani, ma animali, alberi, statue. Una colomba bianca compare nella prima poesia del libro, un gufo nell’ultima. Nel mezzo, una popolazione di uccellini, falchetti, aironi, rane, ramarri, cammelli e naturalmente gatti e cani, dei quali Mattei percepisce una capacità affettiva e empatica (il randagio di Iddu no have a nuddu) che agli esseri umani è negata «così ci teniamo per mano / come monade doppia» (p. 21). Il tema dell’animalità è da sempre presente nell’opera dell’autrice (cfr. Umori regali, Manni 2001, Vittime sacrificali e poveri polli, “Pagine”, n. 37, 2003). Animali come portatori di un afflato vitale non corrotto dalla coscienza che ne fa esseri mitici e al tempo stesso fratelli di un’umanità sperduta. Ulteriori interlocutori del mondo naturale (oltre alle statue, muti testimoni di un passato irripetibile) gli alberi, ai quali Mattei si rivolge volentieri «Alberi voi, Foglie voi» (p. 48), e le nuvole, metafore di una ricerca errante di significato dalla poesia alla natura delle cose. Una poesia, quella di Piera Mattei, fatta di grande compostezza, stile sorvegliato, voce sussurrata, con baleni di dolore improvviso che rischiano, se non governati, di scardinare l’ordito tranquillo (Leggevo Descartes). Interessante, inoltre, la modalità stilistica della ripetizione (di versi, titoli, blocchi di testo). Il ripetere come un mantra per trattenere il passato, per non farlo morire.