All’incrocio degli eventi, di Toni Maraini
Questo libro conferma quell’arte dei racconti brevi che Piera Mattei porta avanti da anni e che, qui, raggiunge compiuta e sapiente naturalezza.
Dico ‘naturalezza’ perché non si ha l’impressione che l’autrice strutturi i suoi racconti limandoli con artifici letterari e stilistici, ma, piuttosto, che vi arrivi con una maturità esperienziale che decanta e filtra pensieri e percezione condensando la quintessenza di una scrittura che scorre e si dispiega, appunto, con naturalezza.
Cosa c’è a monte di questo alone di semplicità che s’organizza in narrazioni brevi e accattivanti? In particolare, mi sembra che la disponibilità a porsi all’incrocio degli eventi e ad auscultarne, oltre che registrarne, il manifestarsi, anche nei minimi dettagli, getti luce su questi racconti e sul loro stile. Mi soffermo su questo punto. E rilevo due dinamiche:
La prima. Nella postfazione al libro, Cristina Annino menziona il ruolo dello Sguardo che, per così dire, ‘pilota’ Piera Mattei nella narrazione delle cose. È vero, e le fluttuazioni di questo Sguardo sono molto finemente analizzate. Tuttavia, per capire meglio alcuni racconti – e capire come mai lo Sguardo di Piera Mattei, più meta-reale e sur-reale che realista, talvolta elude, sorvola, e perfino riassume in poche parole o omette del tutto di registrare, e altre volte amplifica, ingrandisce e analizza nei dettagli - capovolgerei il rapporto. E citerei una frase dall’Advaita Vedanta dove il Maestro afferma ‘qualunque cosa tu guardi, sei tu che sei visto’. Nella realtà cosi intesa, la Persona è interpellata (anzi, segnata, esistita, significata) dal rimbalzare delle cose che avvengono, che si manifestano, che irrompono e svaniscono in un mosaico di frammenti. Più che lo Sguardo sembra dunque che entri qui in gioco la percezione - inquieta, a tratti entomologica, a tratti espressionista, poi minimale - di quello che cose e persone raccontano, suggeriscono e provocano. Questo traduce lo sfasamento, perfino l’estraniamento, e la meraviglia, tra vedere ed essere visti da esseri e cose laddove altri non guardano cose che non sono viste. Il metodo sarebbe, scrive Piera, quello di una ‘liquida’ osservazione in superficie. Una particolare modalità di Sguardo, dunque, la sua, uno ‘scorrere’ che impregna e anche sfida il rispecchiamento. Non a caso, nel racconto ‘Il gibbone’, l’unico interlocutore che ne sostiene a parità l’indagare, è un animale, il gibbone di uno zoo, luogo, invero concreto ma metaforico quanto basta per dare la misura dei diversi livelli possibili di lettura di questi racconti.
La seconda. Un’altra frase mi è venuta in mente leggendo questi racconti; quella di un epistemologo che scrive ‘l’io come crocevia, come nodo nella rete’. Al crocevia degli eventi, tutto, anche un minuto dettaglio apparentemente banale, assume valore e senso. Rivela segrete corrispondenze. E quando l’io coglie il ritmo dei rapporti sottesi nulla è senza significato, tutto è epifanico, compreso l’io della Persona coinvolta dei racconti. Penso, in particolare, a uno dei racconti tra i più compiutamente esemplari d’una rete di eventi, ‘Magia cinese’, e ai bei brani di ‘La città, gli uccelli’.
Detto questo, è poiché si tratta di arte del narrare e del narrarsi, insomma di letteratura e non di filosofia – anche se a monte vi è un particolare modo di porsi al mondo e un bagaglio intellettuale non indifferente che ne determinano struttura e stile – va sottolineata la valenza letteraria di questi racconti. Un’arte, quella di Piera Mattei, che si fonda nell’equilibrio trovato tra pensiero e parola, nel particolare modo di trattare ritmi e frammenti, corrispondenze simboliche e immagini che emergono tracciate da una scrittura cristallina. È questa la compiuta e sapiente naturalezza prima menzionata. Ma non è tutto tranquillo in questa scrittura. Il disagio e la fragilità conseguenti alla maniera di ‘porsi al mondo’, trova rifugio, oltre che su uno sgabello metaforico (come nel racconto 'Un'invenzione pedagogica’), nel ricorso all’ironia (‘affettuosa ironia’ scrive la Annino) e auto-ironia, al soliloquio come cassa di risonanza, all’alternarsi di lucida osservazione descrittiva e di coinvolgimento, che traducono un modo di essere – e di scrivere - nel contempo complice e analitico.
Peccato che, come narrato nel racconto ‘una storia breve’, la grande editoria sia così poco attenta in Italia, anzi, diffidente, a questo genere – il genere dei racconti, e dei racconti brevi - sommergendoci con polpettoni megaeditoriali. Eppure, i racconti brevi, presi molto più sul serio altrove (nelle letterature contemporanee del mondo latino-americano, p.e., come del mondo arabo e africano), possono dare molto. Nati a frammenti o a grappoli, compongono un puzzle, un insieme, con rimandi e equilibri complementari, insomma un libro a tutti gli effetti. In questa raccolta, il filo rosso conduttore di (quasi) tutti i racconti è esemplificato dal bel titolo: 'Melanconia animale’. Una melanconia animale che è anche, per sovrapporsi semantico, melanconia dell’anima, disagio della natura vitale e profonda. Il tema fa eco a quello che recentemente il filosofo Marramao definiva ‘male epocale’, odierna ‘tristizia’ al cospetto del ‘frastuono’ che ci attornia. E a me sembra che la maniera in cui Piera Mattei si muove con la sua particolare scrittura su questo scenario sottende una ricerca di senso – etico e ironico quanto basta oltre che attento alla densità simbolica – insomma, una strategia della percezione che è anche ricerca di propedeutica esistenziale.