Pietro Chiari, La filosofessa

14-05-2005

Chiari, l'abate scomparso, di Antonio Palermo


È possibile che uno scrittore, drammaturgo, traduttore, saggista, ecc., che si presenta “alle porte del tempio dell’immortalità con un immenso carriaggio di libri, e con un milione di uomini, che avevano letto quanto era stato di lui” –così un necrologio apparso nel 1785,– “sparisca” dal mondo dei libri? O meglio, è possibile che di un così ingombrante autore resti pressoché solo il nome accompagnato da epiteti passati in giudicato, come “ cinico filosofo alla moda”, “ciarlatano”, “impiastricciatore”…? È possibile, tant’è che è accaduto, e la vittima di tale damnatio memoriae –abbiamo citato alla rinfusa tra contemporanei e illustri posteri– è stato Pietro Chiari, il settecentesco abate cui ben presto, perché “de la lascivia ingordo”, “la Messa celebrar gli fu interdetto”.
Un caso singolare, non c’è dubbio, per l’entità del contrasto fra il successo, non solo nazionale, rivelatoci dal suo periodo di maggior fortuna, all’incirca fra il 1748 e il 1762 (Chiari era nato a Brescia nel 1712) e appunto gli aspri giudizi che gli riservarono i suoi maggiori contemporanei: da Giuseppe Baretti a Pietro Verri da Gasparo e Carlo Gozzi a Goldoni… Al quale ultimo anzi è da ricondurre l’unica effettiva sopravvivenza della memoria di Pietro Chiari, ossia come disonestissimo e alfine sconfitto, suo concorrente negli stessi teatri veneziani che consacrarono la nuova arte del suo particolarissimo realismo.
A differenza dei lavori teatrali, dei suoi non meno numerosi romanzi c’è stata più di una riproposta novecentesca. In realtà, al di là di qualche improvvida riedizione, poniamo, de La giocatrice del lotto –un titolo che davvero avrebbe potuto rilanciarlo–, per riesumare Pietro Chiari ci voleva ben altro. Ci voleva cioè quanto ha fatto Carlo A. Madrignani  che ha riedito il suo primo romanzo La filosofessa italiana del 1753 non solo con il rigore nitido e semplice del filologo di razza ma facendolo precedere da un’intimidatrice biografia, che presenta Chiari come il protagonista di un grande tema, cosicché tutti i suoi sfacciati limiti passano in secondo piano rispetto al ruolo che si trovò a svolgere.
La sua collocazione come sottotitolo nel ritratto a tutto tondo che Madrignani gli ha dedicato parla più di ogni commento: All’origine del romanzo in Italia. Il celebre Abate Chiari. Sì, per quanto possa dispiacere, è stato lui a tutti gli effetti il padre del nostro primo romanzo, La filosofessa italiana appunto, nato dai riecheggiamenti degli autori che avevano creato il romanzo europeo: dal Defoe del Robinson Crusoe al Prévost della Manon, al Fielding del Tom Jones, tradotto proprio dal Chiari che si fece le ossa come traduttore prima di mettersi in proprio come romanziere riuscendo a connotarsi in maniera inconfutabile. Intanto c’è la sua scelta del protagonismo femminile, che svetta non solo su La filosofessa italiana. C’è anche La corsara francese, La zingana, Memorie egiziane, La cinese in Europa, La francese in Italia…, dove l’esotismo è spesso congiunto a un “Io narrante” che configura il testo come una verosimile autobiografia, nonostante tutte le libertà storico-geografiche che imprimono alle avventure-disavventure narrate un ritmo ancora più serrato.
La velocità è infatti la musa di Chiari, con la quale conquistò il nuovo pubblico, da lui creato –ha ragione Madrignani–svolgendo quindi un ruolo oggettivo che è ora di riconoscergli. Sull’onda dell’avventura e servendosi di tutti gli accorgimenti che le sue onnivore letture gli suggerivano –a cominciare dai travestimenti– Chiari offriva a questo pubblico “tutto”, e a un livello che appariva “basso” rispetto ai canoni e ai generi della letteratura italiana. Fu rivoluzionaria perciò la scelta del “romanzo” come contenitore onnicomprensivo della nuova saggezza filosofica volgarizzata così come di movimentate vicende d’amore, di peripezie d’ogni tipo, di fortunosi ritrovamenti di nobili natali…, senza tralasciare l’assenza di pause dialogiche (e Chiari era innanzitutto un autore di teatro). Insomma, in un continuum affidato alla voce narrante della protagonista di turno –qui nella Filosofessa italiana è costituito, come dice il seguito del titolo, dalle Avventure della Marchesa N. N. “Scritte in Francese da lei medesima”– veniva prodotta l’edizione italiana del maggiore strumento espressivo della Letteratura moderna. Tutto ciò accadeva a Venezia “cioè nel centro editorialmente più avanzato nell’Italia del tempo” e aveva l’eco maggiore a Napoli, che le era subito seconda nel numero di edizioni di questi romanzi. Forse è un caso, ma sia pure con tutte le differenze, Pietro Chiari si trovò a svolgere, si è tentato di dirlo, lo stesso ruolo di precursore di una nuova stagione narrativa della Letteratura italiana che, proprio a Napoli, avrà il popolare professor Mastriani. Del resto, Roma non era cominciata con Romolo e Remo?