Pietro Ingrao, La pratica del dubbio

11-12-2007

Un grande testimone, di Filippo Benedetto

Pietro Ingrao, classe 1915, può essere considerato a pieno titolo un grande testimone del ‘900 e non soltanto un autorevolissimo dirigente del Partito Comunista Italiano. Ha incarnato, insieme a pochi altri, dando letteralmente l’anima e il corpo ad un’epopea storica travagliata, fatta di fatiche e dolori politici ed intellettuali, ma anche di grandi vittorie sul piano sociale e civile del nostro Paese. Oggi ha 92 anni, ma ancora lo si sente parlare, con voce flebile, ma ‘ferma’, di diritti, uguaglianza, ‘liberazione umana’ e di sinistra. Nonostante l’età e gli acciacchi della storia - sua e di tanti ‘compagni’ - lui è ancora un ‘ragazzo rosso’: come lo fu, con la stessa fermezza d’ideali, Giancarlo Pajetta (anche quest’ultimo un grande dirigente della Resistenza partigiana e del vecchio Pci).

La passione per la politica, la ricerca di una soluzione ai mali della nostra società come del nostro pianeta, sono ancora oggi il cruccio di Pietro Ingrao. Ma come tutti i grandi uomini della politica italiana, la sua verve critica, il suo occhio attento, la sua forte convinzione ideale, non attenuano il bisogno di ‘ricercare’ nuove vie per ‘liberare’ la condizione umana dalla schiavitù del pensiero e dell’economia capitalistica.

E’ a partire da quest’ansia di capire i fenomeni drammatici del mondo, delle sue storture, che nasce il libro-intervista La pratica del dubbio (Manni Editore), un dubbio che non significa affatto annullamento delle certezze ma fortificazione della volontà di uscire dal cul de sac in cui gli uomini che governano la terra - tra guerre preventive ed ‘infinite’, intollerabili saccheggi di risorse e mercificazione del sapere e della forza lavoro - stanno portando la nostra società. Il rischio della rovina è dietro l’angolo ed è ben rappresentato dagli esempi tragici della (dis)avventura afgana, irachena, kosovara ed in futuro - preoccupantemente - iraniana.

Pietro Ingrao raccontando la sua storia passata, non fa - e non vuole fare – dunque, un’operazione di mera nostalgia politica ed intellettuale, ma lascia cadere sul lettore - con dovizia di parole e riflessioni acute - un macigno di domande inquietanti sull’oggi, sul domani e sul futuro di chi, da sinistra, ha ancora ansia di ‘cambiamento’, vuole vedere e costruire un’alternativa.

L’analisi che Ingrao svolge, in una densa e appassionata conversazione con Claudio Carnieri, non risparmia, insomma, severità di giudizio anche sul proprio passato, sulle incertezze del proprio ‘campo’, ma vede sempre un mare aperto di contraddizioni da sciogliere. E allora rimane alla mente una bella metafora che l’anziano ‘padre nobile’ della sinistra tratteggia per l’altro grande comunista, scomparso più di vent’anni fa: Enrico Berlinguer: “L'immagine stampata nella mia mente è quella di lui in una barca, che avanza scrutando l'orizzonte. Un solitario in mare. E come mischiate nella sua vita, nel profondo del suo sentire, una sete di solitudine e al tempo stesso una capacità di comunicazione straordinaria con la gente. Forse perché non era mai finto. Con un limite forse: pesava ossessivamente tutto. Non si abbandonava mai (almeno così mi sembrava) alla fantasia. Fra noi due ci furono stima grande e rispetto reciproci. Confidenza no. In fondo, i nostri vocabolari erano diversi”.