Raffaele Crovi, Diario del Sud

05-04-2005

Diario dal Sud di un viaggiatore un po' editore, di Michele Dell'Aquila



Cresciuto nelle redazioni e nelle stanze segrete della editoria italiana nei decenni del secondo Novecento, intimo e familiare di grandi editori e redattori del livello di Einaudi, di Mondadori e di Vittorini, editore egli stesso o direttore di colane presso Camunia e Aragno, Raffaele Crovi nella sua lunga esperienza di uomo di libri, di redattore ed editorialista, ha saputo attraversare anche i campi della narrativa, della narrazione autobiografica, del giornalismo, dell’attività recensoria. Una quantità di titoli apparsi in questi anni (La valle dei cavalieri, Il santo peccatore, L’indagine di via Rapallo, Appennino), della poesia (Fariseo e pubblicano, L’utopia del Natale, Pianeta terra) parlano della sua molteplice attività di padano industre e vigile, attento al mutamento degli umori e delle mode, profondo conoscitore del pianeta letterario e dei suoi molteplici ed inquieti abitanti. Proprio da questa sua diretta ed approfondita conoscenza sono nati alcuni libri-testimonianza (Il lungo viaggio di Vittorini), certamente tra le sue cose migliori, che permettono di entrar dentro le stanze segrete dell’industria libraria, delle sue scelte e rifiuti.
Nel recente Diario del Sud ritroviamo tutto Crovi, uomo di libri, viaggiatore, editore, narratore, elzevirista, autobiografo, conoscitore come pochi della geografia dei luoghi e delle persone del pianeta letterario. Il libro, infatti, raccoglie note critiche, microsaggi, interviste, scaglie di memoria, appunti di viaggio, note su libri, scrittori, luoghi, cibi e scritture delle regioni di un Mezzogiorno italiano tutt’altro che uniforme, anzi variegato e distinto ad ogni crinale di montagne o solco di fiume: distinto nella lingua, nella storia, nella cultura, nella antropologia, e dunque negli umori dei suoi abitanti, anche dei suoi scrittori. Il racconto, dunque, di un viaggio nel Sud, degli incanti, dei silenzi, dei clamori, dei profumi, delle speranze, delle attese, delle frustrazioni percepibili nelle scritture e negli umori dei suoi abitanti.
Crovi con occhio critico e nello stesso tempo affettuoso tutto registra, discerne, lascia decantare negli anni, estrae dalla forma di appunto frettoloso ed estemporaneo il giudizio sottile, meditato, riuscendo a comporre un disegno musaico con le pietruzze variopinte delle prime impressioni rimaste a lungo nei cassetti o nei falconi, prima di giungere sulla pagina e nel volume. L’approccio di Crovi alla realtà letteraria e paesaggistica del Mezzogiorno è antropologico, sociologico e di gusto simpatetico/umorale, lontano da ogni schematismo o retorica moralistica e dalla facile demagogia ideologica –come fa notare Guarracino nella sua prefazione. Certe espressione ricorrenti («ho capito», «mi sono entusiasmato», «posso testimoniarlo», etc.), fanno riferimento all’intelligenza ed emotività, che sono le chiavi di lettura del paesaggio naturale ed antropologico dell’autore.
Dall’Abruzzo mistico e popolano di Silone, di Pomicio e di Flaiano si passa agli ulivi di Puglia («Terre di Puglia, terre ocra, rosse, brune, / terre di pietre, alberi e trulli, / trulli che sulla collina del Barsento, / e Noci, formano un villaggio / dove a giugno i ciliegi / si scrolano nel vento; / trulli dove la luce / penetra da crune / aperte sulla coltre / nevosa del latte di calce; / trulli dove il calore / nasce dal tepore umano; / dove voci e silenzio / si sposano in un suono arcano; / dove il chiarore emerge dal buio / come in una cripta bizantina, / mentre la notte è ingoiata / da una luminosa mattina»), agli incontri con Annoino, Gallinari, Panunzio, Fornai, Argentina e Cassieri; con i poeti giovani e non più giovani da Angioli, cui sono dedicate alcune pagine, con ampie citazioni di versi dal suo Catechismo, «tra innocenza e coscienza» a Bagnato, Carella, D’Amaro, de Judicibus, de Santis, Marniti, Serricchio, sulla scia delle grandi ombre di non lontani maestri, quali Raffaele Carrieri, Vittorio Bodini, Vittore Fiore.
Poi la Basilicata, la «poesia geometrica» di Sinisgalli, «tra elegia ed ironia», quella sontuosamente barocca e memoriale di Levi, la funebre elegia di Pierro, «lo smaliziato illuminismo» di Raffele Nigro, l’epopea contadina e brigantesca dei Fuochi del Basento; poi ancora Napoli «città romanzo» con Montella, Troisi, Gatto, Ternari, Prisco; la Calabria di Alvaro, i suoi silenzi e segreti dell’anima, il realismo favoloso di Seminara, di Strati, Altomonte; la Sicilia di Addamo, Consolo, Pizzuto, Bufalino, Ronsisvalle; D’Arrigo, Bonaviri, Isgrò, Sciascia, Pirandello («L’odore dolce dei gelsomini / l’odore salso dei pini, / l’odore delle zagare e degli oleandri / gli odori speziati, orientali, / delle notti d’Arabia. / L’odore di molti detriti, / l’odore delle favole e dei miti»).
Un viaggio che è anche una analisi approfondita e cordiale della realtà non solo letteraria meridionale, da parte di un viaggiatore padano, ci fa riconoscere il miglior Crovi (stile sobrio, senza sbavature né narcisismi, denso di notizie, preciso e nello steso tempo rispettoso del complesso intreccio delle vicende di una vita e dei nodi dai quali è difficile uscir con una frettolosa e univoca sentenza), senza i paraocchi che ci si sarebbe attesi, ed anzi con chiara distinzione tra scrittori «meridionali» e «meridionalisti», meridionalisti non meridionali e meridionali non meridionalisti. Che è non poco ai fini della chiarezza.