Raffaele La Capria, I mesi dell'anno

24-02-2009

Una guida ai colori e gli umori delle stagioni, di Maria Paola Porcelli

In principio fu la pittura a prenderlo, e rimase per tutta la vita per lui come la donna mai avuta. Nato nel 1934 a Napoli da una famiglia trasferitasi lì dalla Germania, a causa dei sospetti che il cognome destava, considerate le sue origini ebraiche, Enrico Job «ripiegò» presto, ventisettenne, come costumista, quindi scultore, sceneggiatore e anche regista («A me non pare un lavoro, è semmai un gioco da dilettante; anche se di un dilettante che forse la sa lunga», disse della sua prima regia del 1979, quella per Diaboliche imprese, trionfi e caduta dell’ultimo Faust di Ceronetti). Fecondi i suoi incontri con Ronconi, Strehler, Missiroli, Eduardo De Filippo, Rosi. Oltre cento titoli tra prosa, lirica, piccolo grande schermo. Anche autore di romanzi, l’eclettico artista partecipa al coro di quell’umanità poco visibile di cui il gran pubblico può solo immaginare l’intelligente operosità oltre i sipari. Poco visibile, il nostro, forse anche perché citato spesso come compagno della grande Signora dagli occhiali bianchi del cinema italiano, Lina Wertmüller, con cui ha firmato più di venti pellicole.
Della sua esperienza ci racconta, ad un anno dalla morte, l’amico scrittore Raffaele La Capria in I mesi dell’anno illustrati da Enrico Job. Dopo un primo capitolo tutto dedicato ad un’«Autopresentazione» che per la verità ci sembra un po’ fuori luogo (la vanità e il narcisismo, si sa, possono non avere limiti!), lo scrittore e critico del “Corriere della Sera” ripropone e sviluppa i temi dell’elzeviro che pubblicò sulla testata all’indomani della morte dello «scrittore e scenografo assoluto». Qui La Capria racconta con la penna del Maestro e del testimone intenerito dalla nostalgia e dall’affetto, attraverso citazioni e aneddoti, passaggi biografici e professionali alcuni dei quali – spiega – Job aveva rianimato sulle pagine dei suoi romanzi.
Correvano gli anni Sessanta, mitici anche per la coppia Wertmüller-Job, racconta l’autore di I mesi dell’anno. Come costumista lui debuttava alla Scala con la Semiramide di Rossini (1962) in qualche modo rinunciando alla pittura; nel 1963 lei firmava come regista I basilischi (suoi anche soggetto, sceneggiatura e il doppiaggio di ben otto personaggi!), mentre durante la preparazione de Il candelaio di Giordano Bruno per la regia di Ronconi (nel 1968, per la Biennale di Venezia) i due si sposarono; testimoni, tra gli altri, Fellini e Rosi e il giornalista Paolo Radaelli, che provava invano a dissuaderli dal grande passo. Una manciata di anni che diedero un senso, orientarono due grandi talenti, lasciando un segno della nostra storia dello spettacolo. Una bella favola che prova a continuare ad esistere e ad esorcizzare la fine con quest’almanacco che prolunga un tempo che non è più, e prova a far sembrare ancora presente il passato.
Una «strenna», questo calendario senza il marchio di un anno e, dunque, per sempre. Col breve e intenso passo della Wertmüller. Quindi con le nature vive di Job che, per ciascun mese, insieme alle memorie limpide di La Capria raccontano di vincoli indelebili.