Lo scrittore racconta il tempo, di Antonio Errico
Il tempo che appartiene a ciascuno è un’emozione: è l’istante irripetibile dell’esistenza, un segreto che si svela, un’apparenza che si ritrae per lasciare che una sostanza si riveli, che l’essenza del vissuto prenda forma e diventi – spesso – sintesi delle storie, delle passioni, delle ragioni, delle felicità, dei dolori. Le stagioni hanno tutte – sempre – un loro volto, che rassomiglia alle creature che ci vivono dentro e intorno; hanno gli odori e i colori e i sapori delle cose per le quali proviamo un sentimento di intimità; hanno le parole e i nomi che sono costantemente presenti nella memoria o che ritornano all’improvviso, quasi riemergendo dalle profondità della coscienza, quasi ricomponendosi in una fisionomia che si era disfatta oppure offuscata per il sovrapporsi di altre fisionomie, altre immagini sopraggiunte con gli anni e gli eventi. I giorni sono ricolmi di ogni possibile realtà e di ogni impossibile sogno, a volte ritessono, a volte dilacerano il passato e il presente che lo contiene, che lo motiva, o lo giustifica, pietosamente.
Raffaele La Capria entra nel tempo con la sensibilità e la leggerezza che servono per sentirlo in tutta la sua pienezza, qualche volta per comprenderlo nella sua complessità, per raccontarlo con quella ingenuità che solo un bambino o un sapiente possono avere.
I mesi dell’anno è una delicatissima scrittura del tempo, sul tempo.
Per scrivere il tempo bisogna avere per esso un disincanto ed un’adorazione, in uguale misura. Bisogna mettersi ad una distanza che permetta di coglierne la leggerezza senza farsi ingannare e la profondità senza farsi trascinare nell’abisso. Per scrivere il tempo bisogna trasformarlo in immagini, in metafore che riescono a proiettare lo sguardo al di là dell’orizzonte limitato dell’esistere, in storie che sovrappongono la realtà e la finzione, che confondono le verità della memoria con l’invenzione delle parole.
Per scrivere il tempo forse non bisogna riflettere ma solo osservarlo nei suoi passaggi, nelle sue occasioni, in quelle condizioni che lo fanno essere e sentire negli occhi, sulla pelle, che suscitano stupori o paure, pesantezze o sollievi, pazienze o impazienze.
La scrittura del tempo è una memoria che si confronta con il presente, un confronto di esperienze e una verifica di conoscenze: tutto quello che è stato, il modo in cui è stato, davanti allo specchio delle parole si condensa – si raggruma – in essenza, si fa espressione che traduce l’intero e complesso universo interiore.
Così fa La Capria ne I mesi dell’anno. Racconta le sue intime stagioni, la sua piccola mitologia quotidiana, i riflessi della memoria e gli accadimenti del giorno che vive. Il suo è un sentimento del tempo che trova espressione nella leggerezza delle parole che dicono di terrazzi fioriti e di nuvole quando il sole tramonta, di gennaio e dicembre, di un cominciamento e una fine, dell’esperienza della neve di marzo al sud – qui a sud – della malinconia che attraversa ogni anno, ogni mese, ogni giorno, ogni ora, ogni istante, delle foglie e i fiori che tornano, delle gemme che spuntano, delle linfe che scorrono, della luce dell’inverno e dell’estate, delle creature che vengono e vanno tra noi e l’eterno, dello stupore di ritrovarci ad ogni nuovo anno, inquieti e sereni.