I ricordi di Raffaele Nigro fra tele e maschere, di Enzo Mansueto
L’editore Manni licenzia in contemporanea due volumetti di Raffele Nigro. Al di là di probabili motivazioni pratiche di pianificazione del catalogo delle nuove uscite, la coincidenza è giustificabile dalla natura affine dei due scrittori, che, pur su soggetti diversi, muovono ambedue da schizzi autobiografici con andamento narrativo cronachistico.
Il primo libretto è maturato su quello che potremmo considerare, dopo quello letterario in senso stretto, il secondo tavolino del lavoro di Nigro (considerando l’attività giornalistica come la professione, nonché l’occasione di sintesi divulgativa degli svariati interessi): la critica d’arte. Si tratta infatti di un ritratto del pittore cesenate Alberto Sughi, uno dei grandi maestri del figurativismo italiano contemporaneo, Dipinto a parole. Non una monografia, né un’analisi critica dell’opera – sebbene elementi dell’una e dell’altra non manchino –, piuttosto il racconto di un’amicizia «filiale» che si fa occasione di racconto del sé, con ricordi e note quasi diaristiche. Come quelle toccanti che rammentano la festa per i cinquant’anni di Nigro, correva l’anno 1997, alla quale il noto pittore avrebbe, tra altri illustri amicizie, dovuto partecipare, se non impedito dagli acciacchi sempre incombenti sulla senescenza. E allora Nigro riflette sullo scorrere del tempo: «Poi cadono i miei cinquant’anni. Fino a trent’anni il tempo sembra cristallizzarsi. Prima l’adolescenza infinita, un’età che non apprezzi, che non capisci, le donne non ti cercano, gli amici sembrano tutto il bene a cui aspirare, la famiglia ti è nemica. Poi la giovinezza e gli ideali piccoli e grandi che non trovano riscontro in un mondo che vorresti cambiare e per il quale non hai né potere né strumenti. Esci dall’università affamato di lavoro e comincia un tempo di ricerca e di sconfitte. Dopo i quarant’anni il tempo vola e sui cinquanta non lo fermi più».
Il secondo librino, Maschere serene e disperate, è tenuto assieme dal medesimo campo di riflessioni sulle età della vita. Cinque prose occasionali, con topiche stravaganti, dagli arcangeli alla «mano morta» nei vecchi cinematografi, che snocciolano con amara leggerezza ricordi personali e intimità domestiche, principiando appunto dalla presa d’atto di un irreversibile processo di invecchiamento, nel canuto riflesso allo specchio della prima pagina.