Ma il prete è un uomo, non un "puro angelo", di Claudia Rocco
Di certo, uno dei problemi fondamentali del sacerdozio e della Chiesa Cattolica, non solo d’oggi è la vexata quaestio del celibato ecclesiastico, al centro dell’ultimo romanzo di Renato Izzo, La donna del prete. Il protagonista, Emmanuele, è il primo figlio maschio di una ricca famiglia siciliana. Come parte del ramo materno, decide di diventare prete, ma, sin da giovane, è tormentato, non meno dei suoi predecessori, dal rapporto con l’altro sesso. Se all’inizio, le usanze familiari e, a quanto pare, sicule, lo coinvolgono in complicati intrecci che sembrano ridurre il problema alla parola “sesso”, crescendo, Emmanuele inizia a riflettere sulla sua solitudine, sulla lontananza dal mondo reale che certo non lo aiuta a capire. In un climax sempre più profondo e “religioso”. «Ma il cuore?» – arriva a chiedersi tormentato il protagonista – «che ne sa la gente della solitudine del cuore. È il peggior castigo che si possa infliggere a una creatura umana». L’obbligo imposto, però, non solo è disumano, ma anche contro Dio. Un prete è un uomo, non «un puro angelo». La Chiesa lo ha reso «un ribelle, un misantropo, un isterico, un ossessionato. Uno spostato». Inutile dire che Emmanuele troverà la sua metà e ringrazierà Dio: «Grazie, Signore, per aver creato l’uomo e la donna e ordinato loro di completarsi». Con una finale e assoluta condanna: «nessun uomo può essere escluso con violenza da questa unione». La storia complessa, vive così due fasi: la parte iniziale cruda e lontana, sicuramente anche per l’ambientazione e la mentalità descritte sembrerebbe addirittura ambientata nell’Ottocento. Il resto del romanzo, invece, concentrandosi sul protagonista, cresce e si affina anche nella scrittura, nello stile, nel linguaggio, perde i frequenti sicilianismi. Si capisce finalmente che si è nel 2000, ma, come l’Isola, la Chiesa qui rappresentata sembra ancorata a imposizioni di secoli fa, preoccupata solo di mantenere il proprio dominio, di perpetuare se stessa. Senza nessuna pietà.