«In Sicilia niente è impensabile»: può accadere che le porte di ville patrizie si aprano a un vescovo di grande famiglia che arriva a cavallo «come un guerriero medievale» e «pittura di celeste» tutto il suo casato distintosi per sperperi e dissolutezze. Che una bellissima quindicenne reciti il ruolo di vittima sacrificale inventato alla perfezione al fine di estorcere un dovizioso contratto riparatore. Che un giovane ricco e bello entri a sedici anni in seminario. E ancora altre storie di gesti spettacolari, passioni furenti o silenziose e follie abitano il romanzo di Renato Izzo, La donna del prete (Manni, pp. 204, euro 16,00), specchio limpido e crudele di una materia vulcanica, anche per l’impasto effervescente di lingua e dialetto, e così floridamente autonoma, protetta com’è da un disteso gusto descrittivo che si modella su stampi caldi sotto lo sguardo dell’autore consapevole di far parte integrante della vicenda che racconta. Un ruolo, il suo, di chi medita su un universo che esce da tanta letteratura isolana e che, dal fervore del laboratorio, assume una propria figuratività dolorosa sotto cui serpeggia un lacerante dissidio.