Rescigno-Lerro, Gli occhi sul tempo

01-11-2009

Gli occhi di Rescigno e Lerro sul tempo, di Carmine Chiodo

Prefato magnificamente da critici quali Bàrberi Squarotti e Walter Mauro, questo libro contiene poesie di Gianni Rescigno e Menotti Lerro. Ci troviamo davanti a una bella raccolta di due poeti che meritano ogni attenzione e rispetto. Comincio ora a parlare di Rescigno per poi passare a Lerro. Ciò che subito mi colpisce di Gianni Rescigno (con queste poesie all’apice della sua esperienza poetica) è lo stile ed anche i contenuti e la stessa cosa vale – come poi vedremo – per Lerro. Comunque in Rescigno si ammira la perizia di legare e svolgere immagini, immediatezza stilistica, uso ben controllato di metafore, un fluire continuo dell’io poetico. Già nella prima breve ma programmatica poesia Ferma gli occhi (p. 19) affiora subito l’io che riflette e guarda la vita, parola che ricorre di frequente: “Ferma gli occhi / sul tempo del mio volto / e dimmi è mutata la vita?”. E a proposito di vita altrove leggiamo: “Oh, come cresce la vita nei miei occhi / in continua meraviglia per il gioco mai stanco di sperare!” (Rientro, p.23); “Ha altri colori il sogno della vita” (Rondine, p.25); “Considerare la tua vita come luce / che a poco a poco si spegne / è dramma che m’annienta” (Non passerai colline, p. 29); “L’uomo che oscilla tra pazzi desideri di vita e richiami tentatori / di morte” (Un uomo solo, p.33). Inoltre è da dire
che Rescigno ha un modo tutto suo di dire le cose, di esprimere stati d’animo, situazioni interiori, e lo fa in modo particolare che appartiene solo a lui. Anche al riguardo potrei fare citazioni, ma mi limito solo a poche: “Sono l’uomo col pane dell’amore / tra le mani. L’offro ma pochi l’accettano. / M’avvio al silenzio. Apro il libro del mistero / e non trovo parole, ma leggo”. (Un uomo solo, cit. p. 33); “Vola il vento alle mie ed è sempre / la sera a trascinarmi a sorgente / di memorie: v’intinge le dita, / segna il cuore che non ha gridi. / La stagione di malinconia ha occhi di rondini / che migrano stanche a fuochi d’infinito” (Nebbia, p. 35); e infine: “Storia già scritta i miei passi / la mia voce. Capirla è partire / per il fronte degli anni: raggiungere / la mia ombra per diventare ombra. / Così ho fatto per incontrare / mio padre. L’ho visto quando / era quasi morto. E ho compreso / che morire è mistero che svela altri / misteri” (Una storia già scritta, p. 49). Bastano questi versi or ora citati per rendersi conto che ci troviamo davanti a un poeta maturo e che sa guardarsi dentro ed esprimere le cose, i sentimenti, le sensazioni con uno stile suo, originale e profondo, col quale viene detta la vicenda umana. Rescigno non riecheggia alcun poeta collaudato della tradizione lirica italiana, è solo se stesso ed esprime se stesso – lo ripeto – con un suo originale linguaggio: “Sempre meno chiara la luce / davanti ai tuoi occhi velati / di nebbie d’un secolo / in cui ogni giorno cerchi la strada / per congiungerti al forse di un altro […] / Sei tutto qui / con l’anima in bilico tra scogli e burroni / carica d’ingombri senza più stelle / e viaggi di cielo che ti facevano / fiorire e addormentare i ciliegi”. (Sempre meno chiara la luce (a mio padre), pp. 51-52); “Di qui ci dicono le pietre / sono passate migliaia / e migliaia d’anime. / Nel paese antico / agli usci delle vie / dei piazzali e degli incroci / i venti ancora battono / l’annunzio della fine. / Non è cambiata nessuna legge d’aria / né di terra: / si nasce dalla semina / ed è il soffio / che ingravida la pianta; il sole che porta uccelli / e arrossa l’uva; la sera ammanta / i nidi sui carrubi” (Anime incompiute, p. 56). Insomma, Rescigno racconta assai bene quello che egli stesso in una sua poesia chiama il “cammino della vita”. Non solo vita ma pure morte: “Sembra soltanto una parola la morte. / Parola che chiude la storia / d’un fiore o d’una vipera / d’una stella che più non ti rivede. / Per noi che
abbiamo altre primavere / per fiorire è ancora soltanto una parola: / naufraga il tempo nel tempo / finisce il viaggio dell’autunno nell’inverno / s’annulla la foglia tra fiumare di vento” (Sembra soltanto una parola, p. 63). Vita, morte, tempo, ecco i punti cardinali della poesia di Gianni Rescigno che espone quella realtà in modo originalissimo e con l’impiego di metafore sempre più appropriate: “Lei, la morte, la refrigeriamo / l’assonniamo nel lago della dimenticanza. / D’altronde è soltanto una parola. / Non ha né orecchie né occhi: ne ridiamo. / E lei aspetta che si consumi sole / e cielo che si riduca a un punto / l’arco del miraggio. È in noi, ben nascosta / per il balzo sulla vita” (p. 63). Rescigno è di quei poeti che ci fanno sentire lo svolgimento della vita, che ci comunicano come la vita si sviluppa e poi anche muore. Al riguardo non posso non citare una poesia dal titolo L’incidente. Qui tutto fila liscio: “La vita in gioco in una curva: / il muro lo schianto il volo. / Era la valigia dei Santi. / Quasi malato s’attardava il sole… All’undicesima ora ti sei fermato. / Una spallata alla pazienza / e la morte ha scardinato tutti / i giorni ricuciti alla speranza” (p. 64). Leggendo queste poesie, le une dopo le altre, se ne incontrano delle particolari che dicono in modo ampio e semplice,
senza retorica e immagini lambiccate il sentimento umano, le idee, i desideri dell’uomo e del poeta Rescigno. Ecco a tal riguardo il componimento dal titolo Preghiera di Natale: “Dicembre. / Un barbone senza nome / ha disegnato angeli / sotto il ponte d’una strada … / Io ti pregherei di non nascere / nelle nostre case. / Gli abeti in festa, il pane, / il burro, la cioccolata. E le luci / da capogiro, la musica, il profumo / della gioia frivola. / Io ti pregherei di scioperare: / prendi la strada dell’India / i sentieri della Tanzania / i tratturi dello Xingù / dov’è Betlemme di paglia. / Lasciaci soli / a smaltire la sbornia / a torturarci il pensiero: / cosa voglio? Dove vado? Chi sono?” (p. 65). Rescigno è poeta umano, poeta che sa costruire e infondere ai suoi versi significati che predicano l’uomo, la vita, gli eventi che si succedono nel tempo. Insomma Rescigno ha i suoi occhi puntati sul tempo e quindi
nella sua poesia non mancano ricordi precisi di vita, di amici, di scene e di ore trascorsi con essi. Si veda al riguardo la bella poesia Sui prati della notte. Ma Rescigno è anche attento alla realtà del nostro tempo, alla storia e perciò nella sua silloge c’è dato leggere testi come Cristo a Sarajevo e anche Preghiera di pace. “Signore di pace / fa che la pace / veramente ci sia. / È il momento del bianco / e del negro: siamo di fronte. / Qualunque nome tu abbia / aiutaci a decidere insieme: / qua cielo di grano / là tempeste d’oceani” (p. 72), e in Sconosciute inquietudini ci è dato leggere: “Avvicinati a noi Signore / quando scarichiamo addosso / a inermi fratelli / i nostri fucili di rabbia” (p. 79). Dicevo prima che Rescigno è poeta anche della vita, dei fatti odierni. Ed ecco il testo La ragazza dell’est: “Il mio giorno; / buio luna stelle / asfalto di fumo. / Clandestinamente respiro. / Clandestinamente rubo vita. Clandestinamente espongo bellezza. / Sono ragazza dell’est. / Giro scortata da occhi in agguato. / M’inonda un’attesa tremenda. / Di finto piacere rallegro la notte. / L’altra me stessa / l’ho lasciata al balcone / a pensare ricchezze e lavoro. / Questa è la nuova Maddalena / offesa sfruttata derisa / a chiedere a Cristo perdono” (p. 83). Testo che è limpido e che non ha bisogno di alcun commento: parla chiaro. Altri momenti, altri ritmi ci riserva questa affascinante, varia, umana poesia di Rescigno. Ecco, Zia Concetta: un testo ampio, narrativo, dal ritmo anch’esso ampio e disteso: “Zia Concetta quasi una maga, tutta gonne / e niente sottane. Campava girando, / e girando (le carte nascoste, bisunte sul petto) / sostava per ore in masserie lontane. Un tavolo, / in cerchio le sedie, alle campagnole prediceva / futuro […]” (p. 84). Della stessa stesura ma più svelto e dal ritmo cantilenante è il testo che segue intitolato Manganiello (p. 85): “Manganiello è vecchio. / Manganiello cammina cammina cammina / Manganiello ha le scarpe di pezza e cammina. / Cammina cammina: / da casa alla piazza / additando i ragazzi scugnizzi schiamazza. / Schiamazza schiamazza. / Manganiello ha la giacca a brandelli […]”.
Poi si leggono testi di tutt’altra fattura e tenore. Cito È fatica non pensare: “È fatica non pensare alla morte / quando i giochi della vita / ti sfuggono di mano / e frammenti di giorni sconfinano / nella terra del supplizio” (p. 88). La poesia – come al solito in Rescigno – diventa intima, colloquiale, nel senso che si ripiega sull’io che pensa e nel contempo è poetante: “Cerchi d’affidare semi al vento: / la manciata che ti resta. / E attendi che qualcuno ti prepari / sole acqua aria. / Tu seduto, in agguato, / travestito da inganno, / pronto a catturare il gioco nuovo / fissando le stelle / e vedendole stranamente
ridere” (p. 88). Come pure è indice della poetica di Rescigno l’altro testo dal titolo Desiderio di proseguire: “Su altra perdita di giorni / scolorirà il sole / e l’acqua scroscerà su altro / guadagno di speranza. / Il desiderio di proseguire ancora / profumerà di polvere la vita” (p. 89). In brevi ma intensi versi Rescigno dice la vicenda umana, ai quali seguono altri più ampi e distesi che hanno uno svolgimento lungo: La ragazza del prato, Ancora ti corrono negli occhi in cui le immagini sono legate
tra di loro e così – come si legge nell’ultimo verso del testo – “Continua ad essere fucina la vita”. Precisi momenti di vita, di ore e di atmosfere è dato leggere in testi quali Un raggio di luna, Torrida estate: “Come agosto ci atterrì settembre. / Vomitava afa la luce” (p. 95).
Rescigno va alla ricerca del tempo “Che si è perduto / per interrogarlo” (Alla ricerca del tempo, p. 98). E dalla interrogazione del tempo nasce la sua poesia che cerca il senso della vita, ciò che l’uomo è veramente. Spesso nei testi di Rescigno balza fuori la condizione umana: “Siamo come stanche colombe sui fili / dei giorni che hanno dimenticato / la fuga del sangue alle tempie e hanno / fatto l’amore sul fuoco rappreso dei tramonti” (Come stanche colombe, p. 101), e alla fine del testo ecco pendere “ingialliti i ricordi”: “Ormai già delle foglie ossidate del lauro / – in bilico tra venti che ritornano e altri / che se ne vanno – pendono ingialliti i ricordi”. Rescigno ci rende i giorni della vita, della sua vita, ci rende quelli che sono – ad esempio – i profumi di vecchiaia, a voler riportare e citare il titolo di un testo poetico: “Di terra arsa / sanno le nostre mani. / Al bivio di ogni sera / attendono che il giorno / a nuovo paesaggio d’amore / le congiunga” (Profumi di vecchiaia, p. 103). Con questi profumi speciali e specifici si chiude la poesia vera, autentica, persuasiva di Gianni Rescigno, poeta ormai noto e apprezzato nel panorama della poesia contemporanea. Un poeta, Gianni Rescigno, che non imita nessuno ma ascolta la sua anima, il suo io e sa scrivere versi originali che dicono il respiro, la forza interiore della sua anima. La forza motrice della sua poesia è effettivamente la parola che sorregge – dice bene Bàrberi Squarotti – l’opera del poeta salernitano, e la sorregge sempre “nella diversità” di ciò che la poesia vuol dire e rappresentare. Da un’attenta lettura delle poesie di Rescigno balza appunto ciò. Ed ecco che da parte mia cito alcuni versi: “Maggio piega / i rami del ciliegio / alla danza dei ricordi” (La luna delle fragole, p. 27); “E nel cuore scoppia desiderio / di chiamare a gran voce il nome di chi / non passa più per la tua strada” (Tra salti e cascate d’acqua, p. 42); “Lieve andirivieni la tua carezza / fonda nuovo amore / su vecchie pietre”. (Spumeggia il pero, p. 71); “S’immergono i ragazzi / là dove trema la luna. / I bisbigli sono farfalle / mai viste volare nella notte” (Vanno alle onde, p. 82); “La ragazza è passata sul prato / distratta asciutta figura d’aria / col mare aggrappato alla sottana / con un regno di rose tra le mani” (La ragazza del prato, cit. p. 92). Dopo le poesie di Rescigno ecco quelle di Menotti Lerro. Sono diverse per impianto e temi, ovviamente, da quelle di Rescigno. Ma debbo dire che Lerro mi persuade per stile e contenuti. È poeta valido com’ è testimoniato da una lettura attenta dei suoi testi, ricchi di varie immagini, di metafore, di rappresentazioni, di situazioni che dicono ampiamente ciò che noi siamo. La poesia di Lerro è concreta, assertiva e poi non è mai cervellotica o che abusa di immagini oscure. Ciò rende Lerro un poeta interessante a leggersi. Queste caratteristiche di cui sopra già le troviamo nel primo testo Invecchiamo negli occhi della gente (sono sempre gli occhi a vedere e a giudicare, gli occhi appunto fermi sul tempo): “Invecchiamo negli occhi della gente / o quando, nell’aprire un armadio, / lo specchio ci sorprende. / Invecchiamo immersi a mezzo busto nei nostri fiumi, / quando scorrono le immagini tra mille pieghe, / invecchiamo nei riflessi perversi delle posate e dei bicchieri” (p. 107). Poeta assai concreto, fantasioso nel senso che sa legare varie immagini e situazioni che rendono assai magnificamente ciò che si vuol dire o comunicare. Un poeta molto interessante per lo stile che usa nelle sue poesie – riflessioni, in cui non mancano sentenze, giudizi veloci, drammatici e anche dolorosi, momenti tragici. Ma continuiamo nella lettura e nella interpretazione della poesia di Lerro che ora si vede sulla cima della montagna più alta a sfogliare petali, “Così come fossero anni” (Sulla cima della montagna più alta, p. 108). Altrove ci è dato leggere versi così naturali e immediati che esprimono cose semplici e nello stesso tempo profonde: “Muore la mente così come la pelle; / la pelle rattoppata con ago e filo, mastice e silicone. / Ci sgretoliamo giorno dopo giorno, / come i pensieri e le ossa, / preda dei tarli e dei cani, / preda del tempo: illusione del cuore, / sogno di chi sogna” (p. 100). Questa poesia aduna le caratteristiche di fondo della poetica di Lerro che è concreta, realistica predicando tutto l’essere, la sua vita e il suo declino. Lerro è immediato, spontaneo, sa nominare e rappresentare uomini e cose. Ed ecco la nebbia: “Eccola, scende, lenta e plumbea, (…) / Tutto si confonde come nei sogni, / gli oscuri sogni che lasciano ombre, / indelebili mostri della mente e del cuore” (p. 110). Poesia anche assertiva, che procede in maniera secca e marcata: “Nulla ci appartiene / se non i sogni, le immagini confuse della notte, / le voci che più non si distinguiamo” (p. 112). La poesia di Lerro è anche – lo dicevo prima – tragica, dolorosa. Presente è pure lo specchio che mette in evidenza il disfacimento del corpo, il suo sbriciolarsi, il suo declino, il suo stato di invecchiamento (v. È allo specchio che noti i capelli radi): “…la bocca secca e gli occhi frantumati. / Resto così, a guardarmi. / Sono una statua di sale” (p. 115). Poesia spontanea e ben costruita anche questa di Lerro che dice pane al pane e vino al vino e ripercorre spesso la vita, i suoi ricordi: “Allora vivere era un contare di coccinelle sotto i massi, / tenere per la testa un serpente, un rospo, / con la forcina per ore e ore, / imbottigliati, imbalsamati al calar del sole” (Rotola la palla nella botola, p. 117). Anche in Lerro si notano componimenti veramente belli e toccanti e penso soprattutto a quello dedicato al padre (A mio padre) che val veramente la pena citarlo nella sua interezza: “La falegnameria profumava d’alberi e incensi. / Mio padre passava la Vinavil bianca negli incastri, / infilava i chiodi d’acciaio con due colpi: breve – intenso. / Io lo imitavo, martellino, tra le mani miniature degli attrezzi… / sognavo il Cavallo di Troia. / Poi a sera mi nascondevo tra la segatura: “Non c’è posto più sicuro / al mondo diceva allargandomi le braccia. / Oggi che non ho rifugio / se non negli occhi, sereni allora, di mio padre / (quiete prima della bufera) pezzo dopo pezzo riordino / la nostra falegnameria” (p. 119). Poesia del tempo, dell’io (v. È stato ieri il fruscio del tuo corpo tra gli oleandri distratti, p. 121). Il tempo viene inseguito e ricercato (v. Il Naviglio è morto, p. 123) e ancora di tempo si parla o, meglio, si predica in altre parti della poesia prima richiamata: “Il tempo non ha cambiato negli anni il suo vestito / di polvere, solo cambiano i profumi del corpo / intarsiato dai segni. / Non esiste vita diversa da morte” (p. 124). Poesia che riflette anche sull’uomo e sulla sua vicenda, e, come scrive il poeta in un testo, l’uomo “esiste solo per se stesso / e quando muore (era vivo?) nessuno sa / che un tempo ha respirato” (p. 128). Dalla vita si passa alla morte: il corpo dell’uomo annegato o caduto nel fiume poi rispunterebbe “da qualche altra parte, esanime e fradicio / come un tronco dalla corteccia avvizzita, / smascherato” (Vagare per le strade di Londra, p. 129). Poesia varia, nei contenuti, nello stile, nelle situazioni, nelle rappresentazioni della vita: ed ecco testi come Partire, sciogliere il nodo; Dove sarà la mia luce promessa? (Molti sono gli interrogativi nella poesia di Lerro), Gli occhi non vedono le unghie diventare lunghe (anche qui c’è la fugacità del tempo: “Ma guarda, ho trent’anni e non me ne sono accorto”). Il verso di Lerro è fortemente comunicativo e suggestivo. Mi pare questa una delle caratteristiche della sua poetica. Provo a suffragare ciò che ho detto con opportune citazioni: “Pienezza o assenza dell’animo, / questo è poesia” (Bambino spensierato o impaurito), “È durata troppo poco l’infanzia. / Una corsa sul prato, / un contare alla rovescia” (p. 136), e nella stessa poesia leggo a conclusione: “Non ci resta che aggrapparci ai sogni, / all’ignoto” (ivi), “Restano i tuoi occhi sul camino dell’infanzia / quando nel silenzio del fuoco inventai l’anima: / luce per riscattare un giorno il tempo delle more” (p. 141), “Non esiste uomo che abbia un solo volto, / una sola pelle. / Indossa il corpo maschere: milioni, miliardi di maschere, / innumerevoli facce dissimili, senza assonanze, / sempre più cupe, grigie…morte! / Fino all’ultima: irreale, che le riassume tutte” (p. 146), e per terminare con le citazioni ecco: “Io so che la morte è lì, nello specchio, / pronta a mostrarsi nel mio giorno di festa” (v. Dove finirà questa mia folle corsa?, p. 148). Belli alcuni versi che ritraggono certe scene in cui si muovono persone care al poeta quali la madre: “Nell’ardente notte d’estate, / da una piccola finestra nel cuore del Cilento, / mia madre cerca l’orizzonte, / lo indica col dito a chi l’ascolta. / Dito che il sugo assapora, / che asciuga gli occhi, / punto dall’ago che giace sulla spola” (p. 151). Altri testi hanno altra fattura e svolgimento, penso alla storia triste di Alessia (v. La storia di Alessia In-versi, pp. 155-156), Siamo noi infiniti esseri definiti (p. 163): “divisibili in altri noi, fino all’essenza. / Sono le stagioni lacrime dei mari, / nuvole dei cieli, / atomi dell’universo” (p. 163). Spesso il poeta sa che cosa resterà della sua vita, e si chiede ancora se troverà forse la luce “quando la materia sarà assenza, quando un profondissimo silenzio sigillerà la mia penna?” (Svaniranno in una fossa oscura i giorni, p. 167). La poesia di Lerro predica la vita, si interroga su di essa: “noi altro non siamo che ombre, / luci riflesse di corpi morti / senza possibili foci né approdi” (p. 168). Certamente Lerro ci darà altre belle sillogi, ma già si mostra un poeta originale ed autentico che produrrà – ne sono ben sicuro – altri versi profondi e sinceri che specificheranno la vita e il suo svolgersi. Comunque Lerro è poeta da essere preso in considerazione e seguito nel tempo o, meglio, nel corso delle sue pubblicazioni. Esattamente la ricerca poetica di Lerro approda alla sua tragicità, al vero volto della vita, distrutta, sbriciolata dal passare inesorabile del tempo. Lerro sa fare poesia e scrivere versi significativi e pieni di umanità. Non poesia gratuita o riecheggiante quella di altri noti poeti, ma solo sua: è la sua voce, la sua anima, il suo io poetante con i suoi ricordi e sofferenze. Non c’è che dire: Rescigno e Lerro fanno una bella accoppiata poetica in questo Gli occhi sul tempo ed in seguito ci daranno significative prove in cui potremo apprezzare la loro parola che dice l’uomo e la sua ventura, i suoi desideri, le sue speranze, il suo atteggiamento verso il mondo e la vita.
Gli occhi sul tempo è il libro che racchiude sincera e autentica poesia che nasce da vere situazioni e pensieri. Ciò rende bella e geniale la poesia com’è quella appunto di Gianni Rescigno e Menotti Lerro.