Roberto Bertoni, Fili

01-12-2008

Un ordine arbitrario, di Roberto Bugliani

Il libro di Roberto Bertoni, Fili (Manni Editori, Lecce 2008) è caratterizzato dalla disposizione dei testi narrativi secondo l’ordine alfabetico dei loro titoli. Ora, come ha osservato lo studioso francese Roland Barthes, l’ordine alfabetico è il più arbitrario degli ordini, in quanto non è un ordine significativo né tanto meno asseverativo, e la successione dei testi è lasciata alla neutralità, almeno apparente, dell’alfabeto. Ho detto neutralità apparente perché se guardiamo bene, la mancanza di significato che avrebbe la successione di queste brevi storie viene in realtà contraddetta proprio dal titolo che Bertoni ha conferito al libro, ovvero fili di un tessuto testuale, intrecci di narrazioni che compongono un preciso ordito di scrittura la cui valenza significativa è oggetto di questa nota.

Più che di testi “minimali”, come è detto nella quarta di copertina, si tratta di frammenti di storie, di testi frammentati che appartengono a quel libro del mondo la cui realizzazione è stata il progetto ossessivo di scrittori e poeti tra fine del XIX e gli inizi del XX secolo (da Pascoli a Joyce, per fare due nomi che di solito non vengono mai associati). La parola in frammento è il prodotto più caratteristico della tarda modernità letteraria. Non si tratta dunque delle prose d’arte o dei poèmes en prose che si scrivevano nel XIX secolo, né dei frammenti lirici di Clemente Rebora o di quelli di Giovanni Boine della prima metà del XX secolo, ma di una forma tardo-moderna dotata di stile e di tratti formali propri. Innanzitutto la dimensione breve, ma non interrotta, semmai sospesa su un grumo di ipotesi o di possibilità intuite e mai dichiarate, di domande a volte giocate in chiave ironico-patetica, come nella chiusa di Eroi: “Ma con chi ce l’aveva? Non se lo ricordava più”, a volte drammatiche nel loro eco senza risposta: “Che cosa brucia in questa scena? E perché?” (Fanfaluca, II).
Il frammento è ciò che contraddice una certa logica che vuole la produzione letteraria un processo organico e sistematico che ha nella linearità e nella completezza del discorso la propria centralità espressiva. E la stessa rarefazione di queste isole di parole nel mare della pagina risulta essere la cifra costitutiva di Fili, la cui lettura abbisogna di un particolare punto di vista, che metta a fuoco il panorama dell’assenza.”I territori che avevano esplorato erano, come dire?, un’assenza”, così conclude la storia d’inizio del libro, Ábaton. Non senza aggiungere che i personaggi, dopo quella rivelazione, “rimasero assorti nella penombra”. E la penombra, dove i contorni netti sfumano e si perdono nell’indistinto, è un altro tema-chiave di Fili
A livello di riferimenti letterari, mi pare preponderante l’influsso di Italo Calvino. Non solo di libri come Ti con zero e le Cosmicomiche, ma anche, o soprattutto, delle osservazioni e delle riflessioni di tipo “saggistico” del signor Palomar. Si può dire che Fili faccia propria l’ottica in cui lo scrittore ligure vedeva il mondo umano, ossia “come qualcosa … che consiste in avvenimenti minutissimi e quasi microscopici” (Calvino in “la Repubblica”, 15-4-80). Ho parlato dei libri “fantascientifici” di Calvino perché in Fili ci sono vari pezzi di sapore e ambientazione fantascientifici, ma si tratta sempre di mondi extraterrestri che rimandano alla nostra realtà terrestre, come dire i marziani in fondo siamo sempre noi. Insomma. per liquidare il tutto con la chiusa di Fanfaluca I: “bizzarre ipotesi cosmologiche, rise, indulgente con le frottole mentre chiudeva il libro”.
La cornice che inquadra i testi di Fili è decisamente autobiografica, fatti salvi naturalmente i giochi di anamorfosi e di combinazione testuale che proiettano e confondono l’autobiografia dell’autore nel processo narrativo, dotato appunto di procedure stranianti. Si veda a questo proposito da un lato il pezzo Autobiografia, che è “vita da tramandarsi, falsata a volte fino a essere irriconoscibile”, come vuole una delle definizioni poste in esergo. E dall’altro si veda il racconto d’esordio sopra citato, Ábaton, in cui Gea e Saro, i due protagonisti che, insieme a Diana (è doveroso segnalare la dialettica instaurata dal libro tra mito e quotidianeità), intraprendono il viaggio nei mondi sotterranei su una sorta di macchina del tempo, e per farlo “deviarono al bivio di Manarola sulla litoranea delle Cinque Terre, imboccando il braccio ascendente in direzione Groppo…” (tutte zone, queste, familiari a Bertoni perché appartenenti alla sua città natale). Ugualmente al ritorno dalla perlustrazione “la macchina di Gea e Saro era sboccata nel mezzo di una coda, a Levanto”, mentre quella di Diana si ritrovò a Crookhaven, con un furgone del latte dietro che “strombazzava … per chiedere il passo”. 
Una pluralità di mappe geografiche è dunque intessuta da questi fili i quali, per certi aspetti, possono far pensare al filo di Arianna che ha condotto Teseo in salvo, guidandolo verso l’uscita. Ma con una sostanziale differenza di percorso. Difatti il filo di Arianna ha condotto Teseo fuori dal labirinto, mentre chi segue questi fili viene da essi condotto sempre più all’interno dell’animo umano, entrando sempre più dentro il labirinto-uomo, di cui questi fili contribuiscono alla conoscenza, non già alla salvazione.
In questo senso l’ordine alfabetico in cui sono disposte le narrazioni compatta il libro di Bertoni trasformandolo in una specie di tassonomia della vita, con le relative istruzioni per l’uso, per dire alla Perec. Ma si tratta di una tassonomia non già chiusa e univoca come lo sono le classificazioni scientifiche, piuttosto la direi aperta, plurale o quanto meno bilaterale (voglio citare a questo proposito i racconti Binatura e Bipolarità), tassonomia che non solo non esclude in futuro l’inclusione di nuovi contributi, ma che li sollecita proprio per la sua natura di work in progress. Brani che Bertoni continua ostinatamente a scrivere affidandoli poi alla rete, a quei nuovi fili che costituiscono il suo “Diario di viaggio”, dove vi si ritrovano molte delle tematiche di Fili. Insomma, possiamo dire che a questo livello l’ordine alfabetico è un ordine generoso, che non respinge ma accoglie e include.
Per concludere direi che la bertoniana tassonomia della vita è composta di microstorie che confinano con l’aforisma e la sentenza come in Istantanee: II: “Cambiamento epocale del clima: dati allarmanti, poli sgelati. L’ultima istantanea che scatteremo sarà l’onda oceanica che ci travolge. Gli ottimisti sostengono che ci sarà un genere postumano”. A queste si alternano, come in una sorta di contrappunto, le macrostorie, che al piano narrativo puro e semplice sovrappongono un piano saggistico-narrativo, o metanarrativo, piano che è proprio dello scrittore Bertoni e insieme del docente di italianistica avente una lunga consuetudine di critica letteraria alle spalle.