Roberto Curatolo, Lampi di buio

13-11-2006
Il disagio psicologico sotto le vesti del racconto, di Alberto Asero

A nessun’altra arte più che alla letteratura è capitato il compito di essere specchio eloquente della vita. Questo, Roberto Curatolo, medico del lavoro e psicologo, lo sa bene. Tant’è che non all’asettico schema di un saggio, bensì al clima duro e sublime, al contempo, del racconto (Lampi di buio, pagg. 230, euro 15) ha scelto di consegnare molto della propria esperienza professionale. E, da medico lucidamente “umanista”, dimostra di sapere altrettanto  bene che la via del narrare non solo nulla toglie all’oggettività distaccata dell’iter diagnostico, ma al contrario, in quanto richiede come norma procedurale lo studio dei contesti nei quali i fenomeni avvengono, consente di guadagnare un punto di vista autenticamente clinico sul paziente e sul suo male. Lungo la sua pratica lavorativa, Curatolo ricorda di aver più volte incontrato la prassi del Tso (Trattamento sanitario obbligatorio), il che, specie in una metropoli del calibro di Milano, significa entrare costantemente a contatto con realtà umane degradate, frutto di esperienze spesso difficili da indagare a fondo. Nell’antologia di racconti di Curatolo, allievo di Giuseppe Pontiggia e affermato autore con numerosi riconoscimenti letterari, i personaggi, opera di fantasia su cui si innestano reminiscenze personali, si muovono come simboli di un disagio che è insieme individuale e universale: il male di vivere, tipico del Novecento e della contemporaneità. La raccolta ha l’originale caratteristica di presentarsi omogenea, dal punto di vista contenutistico: il leit motiv è appunto l’emarginazione, la solitudine, la malinconia. Anche la struttura dei 27 racconti, suddivisi a loro volta in nove gruppi di tre a seconda della collocazione storica o degli sfondi ambientali, è stilisticamente costante: in poche pagine si crea una situazione di attesa, suspense e inquietudine, secondo le più godibili regole del thriller psicologico, bruscamente interrotta da un climax finale corrispondente alla presa di coscienza di una verità scomoda, dolorosa o imbarazzante: un lampo di buio.

Le vicende delle anime di Curatolo sono difficilmente demarcabili da quanto accade nell’universo storico e sociale in cui vivono (il ventennio, il dopoguerra, la vecchia Milano, la società di oggi) e si ammalano, fisicamente o emotivamente. Tra i colori della tavolozza, Curatolo preferisce quelli tenui, smorzati. In ciò più si nota il retroterra medico dell’autore, il quale evita che i drammi individuali si pieghino alla facilità del sentimentalismo. E così si incontra il realismo più toccante e drammatico: il dolore del singolo raramente è riconosciuto, c'è troppo rumore, intorno. Della disperazione personale non resta allora che un sussulto, fin troppo agevole da ignorare.