"Infinita" è l'arte così come la vita, di Andrea Casoli
La pittura ha senz’altro un ruolo non da comprimario nel teatro delle passioni di Roberto Piumini. È infatti elemento ricorrente di molte sue narrazioni, tra cui anche la sua forse più nota: Lo Stralisco. Così in questo dittico di racconti è lei a prima vista a fare da sfondo comune.
Il racconto d’apertura, Il quadro non finito, è la storia del dialogo tra un pittore maudit e un collezionista, in una Parigi di fino Ottocento: s’innamora di un dipinto prima che sia finito e lo acquista, seppur con la clausola che l’autore potrà ritoccarlo una sola volta, quando vorrà. Da qui, un ansioso tira e molla di cui non si rivelano gli svolgimenti né l’esito, se non per dire che sarà la morte a giocare il ruolo del deus ex machina. Così come nel secondo racconto, Il pianto di Piero, dove Piero della Francesca è intento con due assistenti ad affrescare un convento a Loreto, fino al sopraggiungere della peste che impedisce la fine del lavoro.
La pittura, dunque, la mimesi dello stile narrativo dell’epoca messa in scena (flaubertiano il primo, tardo-medievale il secondo) certo; ma protagonista di questi racconti è l’opera d’arte che non giunge a compimento, cui per sorte è negata la perfezione, così come alla vita accade per natura. Il dipinto non finito come metafora della condizione umana, come suo perenne statuto di attualità: l’uomo di tutte le epoche, qualsiasi sia la sua condizione economica o di vita in genere, è costretto a confrontarsi con l’impossibilità del compimento, deve trovare un senso al proprio operato, alla propria esistenza nella dimensione della precarietà su questa terra.
E Piumini in questi due racconti, che vedono alternarsi personaggi assai diversi e variegati, riesce a emozionare il lettore, giocando da sapiente regista con leggerezza un tema altrimenti tra i più gravi e angoscianti.