Elogio della lettura, di Giovanna Caporale
Il sistema d’istruzione e formazione italiano sta vivendo un momento di crisi profonda. A ricordarcelo è l’OCSE che, per il secondo anno consecutivo, ha inesorabilmente “bocciato” la scuola italiana. Dal rapporto 2006 dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico emergono, infatti, dati assai allarmanti. Vediamo, ad esempio, che l’Italia è al penultimo posto, fra i trenta Paesi esaminati, per numero di laureati, (solo l’11% delle persone fra i 25 ed i 64 anni) e per ciò che riguarda gli studenti della scuola media superiore, questi rivelano sia una scarsa preparazione in matematica sia palesi difficoltà nella lettura. Quello lanciato dall’OCSE è un allarme che non va affatto sottovalutato, poiché sembra davvero che la nostra scuola abbia imboccato un vicolo cieco dal quale rischia di non venire più fuori. Tuttavia, un sistema scolastico migliore, dinamico, stimolante, culturalmente attivo e formativo è realizzabile a patto che l’impegno da parte di tutti, istituzioni, insegnanti e studenti per un profondo rinnovamento sia persistente e consapevole. Ed è appunto questo l’auspicio che emerge dalle pagine di Insegnare la letteratura oggi di Romano Luperini, docente di Letteratura italiana all’Università degli Studi di Siena e teorico della letteratura.
In questo libro Luperini individua non solo i “mali” della scuola italiana ma, soprattutto, le possibili “cure” per poter uscire da una crisi che, per di più, è andata aggravandosi negli ultimi anni. L’autore sostiene che in Italia la didattica della letteratura è stata a lungo la base dell’educazione e dunque non stupisce che crisi dell’insegnamento della letteratura e crisi della scuola coincidano in modo tanto drammatico. Pertanto, proprio per questa ragione, anche attraverso il rilancio dell’insegnamento della letteratura in “forme rinnovate e adeguate ai cambiamenti strutturali e culturali in corso” è possibile far uscire dall’attuale crisi il sistema scolastico italiano, ma deve essere chiaro, tuttavia, che per superare questa situazione servono, come scrive Luperini, “proposte forti di contenuto” ed innovative.
Vediamone alcune.
Imparare a leggere i testi
Secondo Luperini, anzitutto, non più il “testo” ma la “lettura” deve essere posta al centro della didattica della letteratura facendo dell’interpretazione il momento decisivo dell’insegnamento; solo in questo modo si renderà protagonista il lettore e si darà massimo valore alla partecipazione dello studente all’atto interpretativo (interpretazione che, tuttavia –evidenzia l’autore– dovrà sempre rispettare il testo). L’ermeneutica è decisiva per la formazione dei giovani, poiché mentre i ragazzi discutono, confrontano le proprie idee, ascoltano gli altri e argomentano ognuno la propria opinione imparano, non solo a dare un senso ai testi (ed alla vita), ma, allo stesso tempo imparano il valore della democrazia, formandosi come cittadini. La letteratura permette l’accesso ad altri “mondi”, indissolubilmente legata com’è alla storia, alla filosofia, alle arti e persino alla geografia e alla fisica. Così se, come sembra, i programmi della scuola riformata avranno un carattere interdisciplinare nessuno più dell’insegnante d’italiano (e particolarmente quello del triennio) è predisposto a questo genere di cambiamento. L’interdisciplinarità deve servire “non già a perdere di vista gli specifici contenuti disciplinari, ma ad approfondirli (…) al fine di insegnare in modo migliore la letteratura”; non, quindi, a trasformare il docente di italiano in un “tuttologo” ma a consentirgli di riconquistare quella dimensione di “docente intellettuale” mediatore di interpretazioni e culture che gli è propria. Un sistema interdisciplinare, infine, abituerà i ragazzi “alla elasticità mentale, alla complessità, alla capacità di collegamento”, conducendoli in modo naturale verso una dimensione del sapere non più ridotta ad angusti compartimenti stagni.
Interdisciplinarità e apertura al mondo
Nel libro ampio spazio viene dedicato ai percorsi per temi e per generi che possiedono, secondo Luperini, molteplici vantaggi. I percorsi per temi, i quali chiaramente devono essere sempre storicizzati, vale a dire inseriti nello spazio della storia della letteratura in rapporto con i movimenti e le tendenze culturali del periodo analizzato, favoriscono non solo l’interdisciplinarità, consentendo al docente di raccordarsi con gli insegnanti di filosofia, ad esempio, o scienze, o storia, a seconda del tema trattato, dalla nascita all’amore, alla morte e così via, ma permettono anche la connessione di autori del passato con quelli del presente, favorendo confronti, rintracciando diversità e similitudini fra le opere dei secoli passati e le espressioni letterarie contemporanee. Anche i percorsi per generi offrono la possibilità di riunire le opere letterarie attraversando momenti storici diversi. “Un genere letterario non è un modello retorico fisso bensì un’entità cangiante, vive, mobile e intrisa di storicità. Studiarlo significa mostrare come nasce, si trasforma, muore, rinasce in forme nuove”. Questo tipo di approccio che, ricorda l’autore, non “destoricizza” la letteratura ma al contrario consente di farne scaturire la storicità dall’interno, permette di stabilire “un legame organico non casuale” fra letteratura italiana e letteratura europea, poiché “la storia per generi è sempre sovranazionale”. L’apertura dei programmi di letteratura della scuola italiana alle opere straniere è un nodo cruciale che dovrà essere presto sciolto. Oggi un ragazzo può conseguire il diploma di maturità avendo letto Manzoni o Fucini e non sapendo nulla di autori come Eliot, Dostoevskij, Kafka, solo per fare alcuni esempi. Non è, però, più praticabile un insegnamento della letteratura che, in nome dell’identità culturale, escluda opere di altissimo valore soltanto perché non italiane. L’ideale sarebbe una “letteratura senza frontiere”, anche con l’inclusione nei programmi di autori non occidentali, che non significa affatto rinuncia all’identità culturale ma un suo allargamento, “si tratta insomma” scrive Luperini “sia di avere una identità nazionale ed europea forte, sia di nutrirla dialogicamente con contributi provenienti da altri mondi e da altre culture”. La resistenza che ancora oggi si oppone nei confronti di testi stranieri i quali, sostiene qualcuno, una volta tradotti sono inevitabilmente diversi dall’originale, deve essere superata in nome di una perdita che sarebbe ancor più grave se, esclusivamente per la questione della traduzione, si leggessero solo Manzoni o Verga tralasciando, ad esempio, Goethe. Il problema della lingua originale esiste, ma è superabile con lo sviluppo dello studio delle lingue straniere e con “la diffusione, per la poesia, della versione con testo a fronte”.
Naturalmente si pone il problema della definizione di un canone europeo, vale a dire quali opere inserire, tra i classici stranieri, nel programma di letteratura affinché un ragazzo possa avere un quadro d’insieme il più possibile esaustivo. Anche se questo non può significare soltanto “estendere il panorama degli autori studiati, in modo da includervi alcuni stranieri” ma vuol dire anche “vedere il canone italiano attraverso la prospettiva europea e occidentale” dando un adeguato rilievo a quegli autori italiani che in maggior misura hanno concorso allo sviluppo della cultura occidentale ed alla storia europea.
Comunque, in Italia, è necessaria non solo la definizione di un canone europeo ma altresì di un canone del Novecento. Nella scuola italiana si assiste, infatti, ad una situazione che Luperini definisce “paradossale”: fino a D’Annunzio il programma della media superiore è inflessibile, poi diventa variabile o addirittura assente per quel che riguarda il Novecento. Il Novecento “è territorio libero e vuoto, spazio di nessuno; e da nessuno, infatti, o da pochissimi, frequentato”. Ciò accade perché il concetto che anche il Novecento abbia i suoi classici stenta a farsi strada tanto in ambienti accademici “particolarmente retrivi”, quanto nei circoli ministeriali e fra gli insegnanti. Tuttavia, se si pone al centro della didattica l’interpretazione e il rapporto passato-presente, lo studio di alcuni autori del Novecento è un momento imprescindibile e non solo per estendere le conoscenze dei ragazzi al secolo appena trascorso ma, soprattutto, “per avere una prospettiva culturale adeguata da cui muovere per interrogare i classici dei secoli scorsi”.
Rivedere i programmi e formare i docenti
D’altra parte, riconosce Luperini, se è vero che il Ministero ancora ignora molti dei classici del Novecento, non è così nei manuali scolastici i quali, a partire dagli anni Novanta, hanno rimediato a questa grave mancanza dando un adeguato riconoscimento ad autori come Gadda, Calvino, Tozzi, Gozzano, Fenoglio, Sereni (in effetti i pochi studi esistenti sul canone novecentesco hanno come punto di riferimento proprio i manuali scolastici). Posto, dunque, come condizione irrinunciabile lo studio del Novecento, se i ragazzi dovranno studiare autori quali Ungaretti, Gadda, Calvino, si dovrà loro dedicare uno spazio specifico e questo potrà essere trovato nell’ultimo anno del triennio solo se, suggerisce l’autore, il programma si aprirà con l’Unità d’Italia, con la Scapigliatura e Verga. Quindi è tutto il programma di letteratura del triennio a dover essere ripensato, proprio in vista di un ultimo anno scolastico che preveda un reale approfondimento degli autori, delle tematiche e dei generi novecenteschi. Infine, se si vuole che i ragazzi studino il Novecento si deve dare agli insegnanti l’opportunità di aggiornarsi, seriamente e con corsi pensati appositamente per loro, organizzati dalle facoltà universitarie e basati su un programma unitario nazionale, permettendo loro, così, di far propri gli strumenti necessari per misurarsi con il Novecento, non limitando tale aggiornamento alla letteratura, ma estendendolo alla storia ed alle principali correnti artistiche e filosofiche del secolo (è impensabile, sostiene Luperini, “spiegare” Svevo o Saba se si ignora la psicoanalisi o Montale se non si conosce l’esistenzialismo). Le proposte di Luperini mirano al necessario e improrogabile rinnovamento del nostro sistema scolastico e presuppongono una grande serietà e un considerevole lavoro da parte di tutti coloro i quali si occupano di scuola. Alla fine di questo difficile e faticoso percorso, tuttavia, ciò che si otterrà sarà finalmente la creazione di un luogo in cui i giovani acquisiscano e allarghino le loro conoscenze linguistiche e culturali, facendo propria la capacità di riflettere, allenandosi alla complessità ed alla elasticità mentale e dove, al contempo, imparino a interpretare, dialogare e a rispettare gli altri, al fine di formarsi come cittadini consapevoli degli alti valori intrinseci alla democrazia. Con questo Luperini apre la questione spinosa dei corsi di aggiornamento promossi da enti, scuole o facoltà universitarie che hanno risultati assai differenti gli uni dagli altri e casuali. Per superare tale situazione, tanto disordinata quanto improduttiva, l’autore immagina periodi sabbatici controllati in cui far seguire ai docenti corsi appositamente pensati per loro, basati su un programma unitario nazionale, organizzati dalle facoltà universitarie. Solo così, infatti, gli insegnanti avranno finalmente gli strumenti per misurarsi con il Novecento, un secolo solo apparentemente più difficile di altri.
Appare chiaro, alla luce di quanto detto sin qui, che i suggerimenti di Luperini non riguardano soltanto il modo in cui insegnare la letteratura.