Quel mondo scomparso che vive solo nella memoria, di Claudia Presicce
C’è una frase in Casa Bàrnaba che racchiude l’essenza del libro di Rosalba Conserva, entrato tra gli undici candidati al Premio Strega e vincitore del Premio “Tracce di territorio”.
Donna Rita Bàrnaba, una nonna degli anni Cinquanta dai lunghi abiti che viveva nelle campagne del brindisino era un esempio perfetto di riti e abitudini popolari adatte a quella vita, faceva sempre gli stessi gesti e conosceva i segreti del “suo” mondo. I nipotini che da Brindisi in estate raggiungevano per le vacanze quel luogo dove il tempo era fermo la seguivano dappertutto. “Stando appresso a lei, Irene e Giulio impararono tutto quello che lei sapeva fare, tute cose che da grandi non gli servirono mai…”. Non servirono mai perché quel mondo scomparve definitivamente circa un decennio dopo, con la speculazione edilizia e un cambiamento culturale omologante: lo sforzo della memoria di chi quei luoghi li ha vissuti diventa un dovere necessario per serbarne il ricordo, doloroso, nostalgico, terapeutico.
Questo il senso di questa scrittura di Rosalba Conserva, originaria di Monopoli che insegna letteratura a Roma e ha pubblicato studi su Gregory Bateson, uno dei fondatori della cibernetica. Presentata al Premio di Casa Bellonci da Renato Minore e Giovanni Russo è entrata tra i semifinalisti con, tra gli altri, Alberto Capitta, Maurizio Cucchi, Maurizio Maggiani, Edoardo Nesi. È stata esclusa però dalla cinquina dei finalisti.
“È stata una novità, non avevo mai concorso ad un Premio così macchinoso –spiega la scrittrice- con fasi protratte nel tempo e rituali vari. L’editore aveva scelto il mio libro da presentare allo Strega, ma non mi aspettavo una risposta positiva. Ci siamo fermati ad un buon punto e resta una bella soddisfazione. Diranno poi i lettori se il mio libro merita. Ho ricevuto in un’atmosfera di grande calore il Premio ‘Tracce di territorio’, a Pavia, pur concorrendo con libro molto ‘lombardi’. Il mio era il solo sul Sud”.
Come ha scelto l’editore salentino Manni?
“Immaginavo che questo romanzo come collocazione dovesse guardare al Meridione perché più consono alla sua tematica e avevo pensato subito ad un editore del Sud. Il mio timore era che fosse tenuto a lungo dagli editori prima di avere una risposta, invece mi hanno richiamata subito e Anna Grazia D’Oria mi ha consigliato un po’ perché era molto più lungo…”.
È vero che ha lavorato venti anni?
“Sì, anche di più. Tra altre pubblicazioni e studi, ho dedicato tantissimo tempo a questo libro anche andando a ricercare quei luoghi, ma solo con la memoria perché non esistono più… ho cercato tra i miei ricordi precisi di quel tempo, tra le frasi delle persone, tra quel modo di vivere…”.
Ma perché Casa Bàrnaba? Si capisce che dietro c’è il suo vissuto, perché ha deciso di raccontarlo?
“La prima stesura riproduceva un’esperienza sentimentale, che risentiva molto del senso della perdita di quel mondo. Via via il distacco del tempo, della maturazione, ha cambiato un po’ le cose. La meditazione letteraria, la familiarità con la struttura del romanzo, mi ha permesso quella ‘artificiosità spontanea’ che deve esistere dietro ad un romanzo così, anche se questo può sembrare un ossimoro… Solo cos’ ho accettato l’idea di poterlo scrivere e poi anche pubblicare”.
L’esigenza è di recuperare un mondo del passato.
“Sì, un mondo che io ritengo totalmente perduto. Un mondo di rituali, di rapporti con la terra e oggetti materiali che è scomparso con un consumismo, con suoi rituali nuovi e diversi”.