Rosalba Conserva, Casa Bàrnaba

27-07-2005

Quella voce dal passato, di Nicola Vacca


L’esigenza di recuperare un mondo del passato ha spinto Rosalba Conserva a scrivere il suo primo libro. Casa Bàrnaba è una storia corale che racconta la cultura contadina attraverso la saga di una famiglia pugliese.
Le vicende della famiglia Bàrnaba rievocano la bellezze e la poesia di un mondo denso di proverbiale saggezza, che era destinato a scomparire con l’avvento della speculazione edilizia.
Sono numerosi i personaggi che intrecciano le storie di questo romanzo, che è entrato tra i semifinalisti del Premio Strega. L’autrice ha voluto raccontare, nel tempo dominante di una cultura omologante, la piccola storia di Gròttola, un paese nella campagna di Brindisi, e il vecchio sapore di una tradizione di cui oggi si è persa traccia. I numerosi personaggi di questo magnifico affresco corale rappresentano lo sforzo della memoria legato a un certo Meridione scomparso che si riconosceva nella grandezza culturale della civiltà contadina. Si tratta, appunto, di un romanzo meridionalista che insegue le tracce di un mondo perduto. La Conserva individua nella lezione del passato un importante indizio per ricostruire lo specchio dei tempi. Così il mondo scomparso, che fa da sfondo alle numerose storie del suo libro, non vive soltanto nella memoria ma diventa un modo di narrare che va controcorrente, scuotendo la fantasia del lettore che finalmente si trova di fronte a una solida struttura narrativa che lo affascinerà.
Nel libro della scrittrice pugliese c’è il vissuto, il racconto si insinua nel tempo della nostalgia: tutto si gioca nel campo della memoria in cui assume un ruolo fondamentale il distacco del tempo.
Rosalba Conserva ha voluto scrivere un romanzo su un altro tempo, sulla ricchezza interiore di una civiltà scomparsa, per raccontare la povertà del nostro tempo soffocato dal consumismo e dalle effimere chimere di un’omologazione che uccide ogni tipo di memoria.
Nella trama fitta degli avvenimenti quotidiani di una vita semplice ispirata dai valori dell’appartenenza familiare si consuma il rito tradizionale di un nucleo di persone che gelosamente custodiva il proprio tempo, sospendendolo nel tempo stesso, nella ricchezza interiore dei propri sentimenti.
Di quella purezza contadina oggi non vi è più traccia, era giusto scrivere una storia corale per serbarne il ricordo. La Conserva in questo romanzo ha seguito con grande intelligenza le tracce di un passato, quello di un mondo scomparso che aveva nel Meridione la sua nobile dimora, ha raccontato le vicende esistenziali di una famiglia patriarcale pugliese consapevole di voler realizzare un sogno: quello di dare vita a un modo di raccontare che sappia parlare del presente guardando con rispetto alla lezione di un passato che viene troppo spesso relegato negli scomparti mentali di un oblio ingiustificato.
Questo libro di Rosalba Conserva è destinato a rimanere. Nell’attuale panorama letterario prevalgono libri inutili di presunti scrittori sgrammaticati che ignorano volutamente, e con una dose ingiustificata di presunzione, ogni relazione significativa con la tradizione e il passato, arrogandosi il diritto di essere indispensabili al mediocre minimalismo del loro squallido presente. Casa Bàrnaba, invece, ha la memoria della grande narrativa d’altri tempi.
Nella piccola storia di un paese che si trasforma nelle pietre e nei sentimenti, via via, a immagine della città, l’autrice racconta le pericolose insidie della modernità che preparano l’avvento di un mondo nuovo e allo stesso tempo disegna la geografia interiore di un nucleo familiare che resta gelosamente attaccato al vecchio. Nella pagina finale del romanzo la Conserva riassume, con grande senso del rispetto, il ricordo legato a un mondo di valori e di tradizioni che stava lasciando il posto all’avvento della decadenza. “E questa del canapè di Casa Bàrnaba, unico mobile sopravvissuto alla demolizione completa di casa Bàrnaba, e che ritorna a Italo Bàrnaba, -senza che lui e Cettina sapranno mai l’origine- è l’ultima trovata dei fratelli Raguso. I quali, da lontano, passato il tempo, non vollero appurare la verità, come la storia andrà a finire davvero: Italo prigioniero di Eugenia e della sorella grande di Amedeo Cècere, nella casa a tre piani costruita da Amedeo sopra la nevaia di casa Bàrnaba dove stava racchiusa, a darne prova, la vigile noncuranza di tutti i Bàrnaba, e dove i fratelli Raguso, il bambino di Franzina, i gemelli Grandolfo e gli altri ragazzini della strada di Brindisi avevano imparato la loro personale geografia, le disubbidienze, le bugie necessarie, le mille facce della paura, a vivere insomma”.
Con un grande rispetto per la tradizione Rosalba Conserva racconta senza nostalgia, in un romanzo meridionalista che ricorda alcuni libri di Alvaro, Silone, Tommaso Fiore, la povertà del tempo presente senza valori. Un tempo che ha completamente cancellato la piccola storia corale della grande civiltà contadina.