Rossano Pestarino, Lune d'Honan

11-04-2013

 

Reticenza che parla, di Giuseppe Porqueddu 
 
 
Quante riflessioni sulla poesia, e quanta difficoltà per tutti a definirne il senso profondo! O forse l’unica risposta viene, quando osiamo sondarla con animo sgombro e intelletto vigile, dalla poesia stessa incarnata nell’opera di un singolo autore. Ecco: io provo a leggere il bellissimo libro di Rossano Pestarino, intitolato “Lune d’Honan”, Manni editore 2012. Avverto subito, dai primi testi della raccolta, di trovarmi di fronte a un mondo di immagini, sentimenti, pensieri e suoni che vengono dal profondo di un’anima, e nel medesimo tempo mi immergono in una realtà vera e densa, palpitante. È la vita, in tutte le sue forme umane, animali, vegetali, l’oggetto evidente o sottinteso sempre in questi versi: e la morte come suo complemento ineludibile. Chiaroscuro dunque di abissi malinconici e luminosi recuperi, di nostalgie struggenti e di sorrisi contenuti. La lente però è sempre quella del poeta stesso, con la sua coscienza solitaria e schiva, che si nasconde e solo per segni allusivi si rivela: indossa l’abito dell’ironia come lieve corazza del pudore, o quello di una più vaga reticenza, o d’un’arte (pittorica, musicale, letteraria) che distanzia il travaglio indicibile, l’accoramento che lo accomuna a tanti altri poeti di valore; a tutto ciò spesso egli contrappone il divertito gioco surreale, il divertissement apparente, come un critico autorevole ha scritto.
Pestarino, che incontrerà i frequentanti dell’UNITRE al Millenario di piazza Duomo il 19 aprile alle 16,30, è nato ad Ovada 40 anni fa, è ricercatore di letteratura all’Università di Pavia; da sempre dedito alla lettura critica e alla scrittura poetica, ma così ritroso da aver pubblicato solo questa raccolta inclusiva nel 2012.
Scorrendo le sue liriche, troviamo anche discreti indizi di una biografia pochissimo esibita; ma la figura del padre , di un padre precocemente perduto, ispira versi indimenticabili e trapela anche indirettamente nelle atmosfere d’un vissuto parziale o negato, irrisolto, che si va cercando seguendo tracce precarie di mondi perduti o lontani nello spazio e nel tempo, o che tenta di lasciare a sua volta tracce, senza soverchia illusione che alcuno le incontri e le possa pienamente decodificare. Nella sua amara consapevolezza, le rare illuminazioni rapidamente svaniscono; persino le parole poetiche, le immagini pittoriche, le armonie musicali così presenti gli appaiono travolte dal tempo, la loro scia sfuma in una dissolvenza…Le intermittenti visioni sono tuttavia, nella loro precarietà, nitide e dense: sia che delineino un fascio di luce, o un animale contro sfondi paesistici chiari non meno che surreali, o figure umane incarnate, in cui ferve la vita e s’addensa, mentre incombe la consunzione. All’improvviso la contemplazione si distende in versi inattesi, musicalmente e letterariamente indimenticabili, come scende l’anima mia tacita e bruna (Ottobre), in cui risuona chiara un’eco tassiana. Vi senti vibrare emozioni e domande senza possibili risposte, filtrate da una lunga tradizione espressiva, che va da Dante alla grande poesia del secondo novecento (l’ultimo Montale, Bertolucci, Caproni…); ma l’impronta è assolutamente originale.
Poeta difficile, Pestarino, che a volte ti lascia solo a interpretare situazioni, segni, riflessioni monche, metafore inesplicate, citazioni…Del resto quale vero poeta è facile? Le banali semplicità non ispirano quasi mai versi significativi. Ma trovi spesso la rivelazione subito parlante di poesie come questa, dedicata al padre:
Non sono i tuoi anni migliori
che mi sono mancati: sono quelli
che mi mancano adesso, quelli
delle stanchezze arrendevoli,
del vederti tornare spensierato in bicicletta
mentre arrivo, del sentirti parlando sbagliare
le date della vita e dirti:
“Sei sicuro, papà?”. Cose così.
 
Gl anni che erano miei per esser padre:
quelli ingloriosi e teneri
della stagione lenta:
il tempo per restituire.
Oppure come quest’altra, che prende spunto da una festa nuziale per alludere al nostro esistere in assenza di durata, di tracce che restino oltre il tempo…:
Facce di colpo mute che sbiadiscono,
gli inviti sui tavoli sparsi,
le piroette dei bambini scalzi
a spruzzare acqua al cane oltre la rete;
fiori di carta, si alza a tratti l’aria
di bufera a sfogliarli…Viene un’ansia
di confrontare orologi,
bere ancora un po’e poi alzarsi, salutare
con discrezione i padroni della festa
o sparire nell’ombra di dietro
segnando passi rapidi nell’erba
che immediatamente li cancella.
Quanta vivezza e intensità d’immagini, ritmi, allusioni!
Sarà molto interessante tuttavia ascoltare la viva voce dell’autore venerdì 19 aprile, interpellarlo per meglio intenderlo.
 
                                                       Giuseppe Porqueddu