Salvatore Leopizzi, Don Tonino. Croce e fisarmonica

01-03-2009

La fede che sa  di popolo, di Dario Quarta

“È bello che si legga non solo quanto don Tonino ha scritto, ma che si legga anche o che si ascolti quanto di lui dicono quelli che ne hanno conosciuto più da vicino la vita”, lo scrive Luigi Bettazzi, vescovo di Ivrea, nella essenziale e concreta prefazione a “Don Tonino Bello. Croce e fisarmonica”, libro di don Salvatore Leopizzi edito da Manni. È bello ed è anche utile per capire e percepire quella “Profonda umanità, intrisa di fede e che sa di popolo”, che è il manifesto della vita e della ”missione” di don Tonino. Se poi a scriverne è chi, come don Salvatore Leopizzi, parroco a Gallipoli e insegnante di filosofia, con don Tonino ha condiviso una vita di preghiere, impegno e passioni, il tutto diventa ancora più bello, e utile, per conoscere, pensare e perfino per riacquistare un po’ quell’umana facoltà di indignazione.
“Croce e fisarmonica”, basterebbe quest’immagine a raccontare don Tonino e la sua “normalità di uomo straordinario”, il sottotitolo del libro che racchiude una serie di ricordi e testimonianze, riflessioni, pensieri sul “vescovo degli ultimi”. È un racconto di don Tonino, del suo vivere da prete, da vescovo e uomo, sempre e solo per esortare alla “convivialità delle differenze”, ad essere “spina dell’inappagamento nel fianco di chi è soddisfatto”. È una esortazione a conoscere meglio don Tonino, “seme fecondo delle nostre utopie”, “dito puntato verso il totalmente Altro e totalmente Oltre”, ma anche “uomo salentino, innamorato della sua terra e dei suoi ulivi e abituato a scrutare dalla scogliera di Novaglie, quella distesa di mare colorata di cielo…”.
Si snoda il racconto di don Salvatore lungo i suoi ricordi e i suoi scritti, dal 1993, anno della morte di don Tonino, ad oggi, sempre con la stessa intensità, con quel senso “di gratitudine immensa e inusitato affetto”, che è una costante dei tanti “capitoli”. Dal “don Tonino, uomo inedito” al “vescovo dei poveri” c’è tutto. C’è la sua convivialità e la sue fede, le sue carezze, il suo grembiule e l’arcobaleno, il suo dito puntato contro i potenti e la sua eutopia di una pace, impossibile senza giustizia sociale, il suo sguardo contemp-attivo e i suoi tanti gesti.
Aprire le porte del vescovato, per esempio, per accogliere “Massimo il ladro, Giuseppe avanzo di galera, Gennaro l’ubriaco, Mohamed fratello marocchino, Antonella, donna abbandonata…” e guardare il mondo con i loro occhi, partendo dai loro bisogni. Che poi sono quelli che l’hanno spinto e accompagnato, nel 1992, già malato, ad una marcia della pace tra le bombe di Sarajevo, “armato solo di Vangelo e di poesia”. Sono loro che hanno mosso il suo “rifiuto” di una “Chiesa-fortezza, ornata dai segni del potere”, preferend la “chiesa-tenda, ricca solo del potere dei segni”.
Don Salvatore (ci) parla e scrive di don Tonino, della sua umanità estrema e del suo credo, dell’intimità della sua preghiera e della convivialità della sua fisarmonica, entrambe al servizio degli ultimi. E lo fa in una maniera perfetta, dosando profondità, semplicità, vigore ed efficacia comunicativa. A volte intrecciando i ricordi ed emozioni alle riflessioni ad alta voce, in una sorta di dialogo a due con don Tonino, proprio sulla loro “profonda umanità, intrisa di fede e che sa di popolo”.

Ad impreziosire il libro, in coda c’è la trascrizione di una conferenza tenuta in una parrocchia di Racale da don Tonino, nel 1990. “Pace, giustizia e salvaguardia del creato”, è un augurio di pace da leggere tutto d’un fiato, un “augurio scomodo”, forte come un pugno nello stomaco, rassicurante come una carezza, seducente come il suono della fisarmonica. Colorato come l’arcobaleno.