Dieci di Puglia, di Giovanni Turi
I limiti di genere hanno un po’ snaturato lo stile di alcuni di loro, portandoli anche ad eccessi splatter e truculenti, ma hanno altresì esaltato la scrittura tesa e angosciante di coloro che abitualmente si confrontano con thriller e noir: è il caso di Di Monopoli, ad esempio, che in Maledetta maciàra racconta una storia di superstizioni e paure, in cui un piccolo paese e le sue tante voci finiscono per determinare la condanna o l’assoluzione dei presunti colpevoli.
Riescono invece ad ampliare gli orizzonti, rendendo conto della condizione degli immigrati e della loro irriducibile umanità, Carlo D’Amicis e Daniele De Michele (Donpasta) con due storie anche stilisticamente molto particolari. D’Amicis reinventa l’italiano nei pensieri di un giovane albanese, che non manca certo di inventiva (Ammazzare i morti); Donpasta crea un collage di voci e di situazioni che lentamente si compongono, e già il titolo suggerisce una volontà di sperimentazione: Esercizi di stile su un uomo, una donna, un malvivente, un clandestino.
Cosimo Argentina, nel Cattivo tenente in salsa tarantina, ci conduce in una nottata di burrasca, dinanzi al cadavere di una donna che non ha ancora smesso di soffrire; Rossano Astremo delinea un giallo famigliare (Roast beef); Piero Calò ci sospinge nelle fauci di Dolores, la stanza infernale; Elisabetta Liguori, che lavora presso il tribunale per i minorenni, affronta in Hollywood la tematica a lei cara del sigillo della violenza su una giovane anima; Piero Manni, con una prosa finemente letteraria, ci riporta a inizio ‘900, quando ancora i signorotti di paese facevano il bello e il cattivo tempo (L’inverno del Diciotto); infine, Livio Romano reinventa il topos della clinica degli orrori (Rifiuti Speciali) ed Enzo Verrengia si sofferma sulle vessazioni quotidiane di un piccolo impiegato, non esente dalla malvagità, come nessun altro del resto, nonostante i sogni di rinnovamento (Straordinario).