Stajano-Waira, Esercizi d'amore

01-02-2009

Passioni antiche e contrarie, di Alessandra Guareschi

Il gioco dei contrari è uno degli Esercizi d’amore che Giò Stajano e Willy Vaira ci propongono in una doppia raccolta poetica. Giò, scrittrice, giornalista, attrice, pittrice: chiunque, almeno una volta, l’ha sentita nominare. Forse per il romanzo Meglio l’uovo oggi, del 1959, in cui mise a nudo i protagonisti della vita omosessuale romana; magari per le continue censure dei suoi pezzi su riviste e quotidiani, fina dai tempi della Dolce Vita. Quando viveva a Sannicola, in provincia di Lecce, Giò si chiamava Gioacchino Starace; suo zio Achille era il famoso segretario del Partito nazionale del Fascio. Il trasferimento a Roma negli anni Cinquanta consacrò il salentino come una delle prime icone gay in Italia. Oggi Maria Gioacchina (questo è il nome che ha scelto di portare) è una snella signora, sempre elegante, che è tornata nella terra d’orgine per vivere nel modo migliore il suo avvicinamento alla religione cattolica.
Questa raccolta è per chi si sente una donna, e per chi si sente un uomo. A sentir “scorrere l’olio / dentro le vecchie vene / degli ulivi d’argento”, a ricordare che “le case erano basse / intonacate a calce; / bianche, rosa e turchine” si avverte un’eco femminile di Bodini. Tra endecasillabi e settenari talvolta nascono le rime, che confondono il tempo “come in un presentimento d’un futuro passato, / gravido d’un evento / mille volte accaduto”. Traboccano amori antichi dai versi sciolti in cui “un biondo occhi azzurri e un bruno saraceno” si baciano in segreto “col benigno consenso / di Dei mediterranei”.
Ai componimenti di Giò seguono quelli di Willy Vaira, “uomo di Langa”, che vive e lavora a Torino e per il quale la moda, la musica e la scrittura “non sono soltanto passioni”. Proseguendo nella lettura, il gioco dei contrari si trasforma lentamente in un gioco di specchi. Nelle Langhe la forza della terra e della vegetazione sono le stesse che Stajano racconta per il Salento: “vecchie vigne abbarbicate / a seni irti di colline”. Il passato, sfocato, si proietta nel futuro: “Dov’è finito quel tempo / che giocavo le nuvole, / inseguendo orizzonti / e spazi infiniti”. Il maschile e il femminile perdono un po’ del loro valore, se non si mescolano: “A qualcuno non basta una donna, / per sentirsi felice e completo, / come non basta un’idea / per fare un duello col sole”.
Voci della vita vissuta a fondo si tramutano nelle prime impressioni, infantili, di creature candide; rintocchi di consonanti segnano parole spogliate da ogni aggressività, disarmate e inesorabili. Voci profonde si esercitano all’amore con il ricordo, con nuovi occhi in cui l’immaturità si rigenera nel desiderio di nuova esperienza.