Stefano Vitale, Semplici esseri

01-03-2006

Un percorso verso l'autenticità, di Giorgio Luzzi


Torinese, nato nel ’58, di formazione filosofica e di professione addetto ai servizi formativi per l’educazione, Stefano Vitale ha esordito in poesia ispessendo in questi ultimi anni una pubblicistica in versi abbastanza complessa e incalzante. Come infinti altri, il caso di Vitale è sociologicamente fondato su una sorta di stato d’ansia generalizzato che parte da una sfiducia nel valore pragmatico del linguaggio, che prende atto della limitatezza dei piani di comunicazione e che cerca, al di là della reificazione del rapporto comunicativo, piani nuovi di confidenzialità e di relatività. Questa generazione in crisi tenta, in altre parole, di individuare la legittimità di un percorso verso l’autenticità, i fondamenti, le tipologie dell’essere e dell’essere in relazione secondo modalità e temperature spirituali non alienate. Risulta chiaro, perciò, che la valutazione di questo come di altri casi deve fare riferimento alla tradizionale dotazione degli strumenti retorici che accompagnano la riconoscibilità del genere poesia come prodotto interno alle culture contigue. Nasce dunque una contraddizione delicata tra il forte impulso ontologico a esprimersi dentro il mito dell’assolutezza lirica e la necessità di tenere in stretta considerazione la storicità di quel linguaggio, i suoi caratteri circostanziali e sociali, la sua condizione di crisi permanente propria di ogni forma di autocoscienza temporale. Ebbene, mi sembra che Vitale, forse in modo più intuitivo che critico, sappia catturare talvolta il valore-sorpresa dello spaesamento metaforico, lasciando filtrare il pathos un po’ convulso di una “condizione” di allerta e di richiesta, di fame di ulteriorità e di autenticità; convogliato, tutto questo, non di rado sul comodo e disponibile automatismo del verso libero breve, aforistico e melico. E lo stesso si potrà dire, a stretto giro di spalla, per l’altro volumetto complanare (Le stagioni dell’istante, Joker 2005) che è dotato di una bella prefazione di Mauro Ferrari.