Tilde Pomes, Amore scarno

28-11-2013

Quello che portiamo con noi nel viaggio, di Anna Maria Colonna

 
Un rumore di passi lacera l'aria, si fa vicino, troppo vicino, penetra la stanza mentre un odore acre di fumo si fonde con sussurri torvi. L'angoscia mi divora... la Bestia viene verso di me, sfila la cintura dai passanti, i pantaloni piombano sul pavimento... se ne libera! La mia voce sgomenta si fa supplica di bambina: papà non toccarmi... sta' fermo... lasciami! non sono Ada... mi schiacci... no! noooo!... Serro gli occhi l'oscurità mi strazia il petto esplode. Sento l'eco del mio urlo rabbioso che ne accompagna un altro: una violenza si accompagna all'altra, quella senza eguali, che oltrepassa ogni limite.

Le parole trasudano l'orrore di un inaspettato finale. Mister Opale non usa più la cintura per lasciare su sua figlia le cicatrici violente di un debole. Il segno, questa volta, cola livido tra le gambe di Sara con una bava funesta. Di fronte alla realtà raccontata da Tilde Pomes, il cuore del lettore non riesce a frenare. L'invenzione ha i contorni della realtà. È la storia di migliaia di mura domestiche che abbassano gli occhi nel silenzio della vergogna. La rincorsa dell'eredità, che ruba ai bambini l'affetto e la serenità di una famiglia. La meschinità e la brutalità di un padre-padrone, pronto a fustigare sua figlia senza pietà. E senza motivo. L'ottusità di una madre con il pensiero costante alla ricchezza da sfoggiare, ignara dei tormenti notturni di quella donna che diciassette anni prima aveva portato in grembo.
 
Sara bambina. Sara adolescente. Sara che affoga nell'alcool gli ingiusti insulti dell'abominio, serrati nel suo diario delle lacrime. Sara presa per mano dal fratello Angiolino, l'angelo che la salva dal salto nel vuoto. Dopo la violenza sessuale, partorita dalla continua violenza fisica della Bestia-padre, la prigione psicologica sembra non lasciare altra via di scampo. La liberazione definitiva dal Male che scorre nel sangue si chiama morte. L'infanzia infelice continua a camminare sulla stessa strada. Sui chiodi. Pomes, ostunese di nascita, altamurana di adozione, affida alla penna bambina - poi adolescente - di Sara le pagine di questa testimonianza. Una storia comune a tante e che, come tante, può rimanere muta se non viene urlata a squarciagola. 

Il tempo fa qualche passo indietro, tra gli anni Cinquanta e Settanta. Sara vive ad Ostuni, la città bianca. Qui, insieme al fratello Angiolino, più piccolo di lei, assiste alle sfuriate terrificanti di suo padre su sua madre. Unico pensiero della donna è conservare intatto lo splendore del palazzo signorile ereditato, su cui concentra l'amore negato ai figli. Sara cerca di difenderla anche a costo di farsi male, ma da lei non viene mai difesa. E il dolore non è solamente fisico. Umberto - soprannominato Mister Opale dal film Il testi testamento del mostro - sfila la cintura e sferza, scagliandosi su carne da macello. Umberto insulta e tradisce, fino ad avere ripetuti rapporti sessuali con l'amante, Ada, nella camera della figlia. Mentre lei, nel letto, sente e ingoia tutto. Il cuore lacerato della ragazza parla il linguaggio del pallore e degli occhi lividi. Non riesce a sopportare. Non può più. Il corpo rifiuta il cibo e vive nel ricordo delle carezze e delle parole della nonna, volata in cielo insieme agli istanti di serenità che ogni tanto la vita concedeva a Sara. Un lusso scontato con il prezzo del terrore. 

Amore scarno di Tilde Pomes è viaggio attraverso le voci del mondo femminile, prevalenti tra le pagine del romanzo. È documentario sulla violenza che si schianta contro il muro del voler bene vittorioso. È negazione dell'idillio e riflessione sulla concretezza - nuda e cruda - del mondo più nascosto. È itinerario nella precarietà dell'equilibrio. Un equilibrio che spetta di diritto ad ogni bambino e che gli adulti negano. È realtà guardata negli occhi. Riflessione soffocante, ma necessaria per sopravvivere. Per tornare a vivere.