Tilde Pomes, Se non resta che il diluvio

11-01-2016

Quando ognuno dà il peggio di sé, di Teresa D'Aniello
 

È in uscita tra pochi giorni in libreria “Se non resta che il diluvio” (Manni Editore, 2015) secondo romanzo della scrittrice salentina Tilde Pomes, che nel 2013 è risultata vincitrice del Premio Puglialibre con il suo romanzo d’esordio “Amore scarno”. In questo suo nuovo libro narra, con ironia e amare verità, le disavventure e le angosce di alcuni insegnanti di un istituto secondario quando, al rientro dalle vacanze estive a settembre, con l’inizio dell’anno scolastico, devono far fronte alle beghe delle nomine delle cattedre, alla multiculturalità degli alunni e alle riunioni senza fine nell’Aula Magna, presiedute dall’inadeguato preside, Diluvio Aristide, prossimo alla pensione. Insegnanti in grandissime difficoltà, depressi perché si sentono giudicati come privilegiati, bollati come fannulloni mentre invece, in strutture spesso fatiscenti e pericolose, sono costretti a carichi di lavoro sempre maggiori, senza nessuno che dia loro dignità e merito. Sentimenti conflittuali e dolorosi che animeranno Miguel, insegnante di lingua spagnola, a mettere in atto uno stratagemma: realizzare il gruppo segreto dei docenti dell’istituto su Facebook “dove poter urlare con maggiore fiato” il loro rapporto conflittuale con la scuola e le istituzioni.

“Ho dato un’occhiata all’ingresso della scuola: un cerchio di fuoco mi avrebbe spaventato meno. Ma quando, sbirciando all’interno, m’è sembrato che anche le cose recitassero l’elegia delle sconfitte, mentre il rictus intermittente di quel filibustiere di preside trionfava, ho giurato e stragiurato che vi avrei coinvolto, colleghi cari, in un piano di vendetta. Come? Impiegando il potere della tastiera di un computer e dicendola tutta.”

“Se non resta che il diluvio” è un romanzo in diciannove post nel quale ognuno dei protagonisti, con i propri aggiornamenti di stato, parteciperà esprimendo le varie incomprensioni, frustrazioni, sconfitte e voglia di cambiare. Una sequenza di racconti personali, dalle macchinazioni per il recupero degli studenti all’ipocrisia, e quel piacere sottile nel redigere l’orario scolastico, dai post nottetempo del professore di Chimica che deve mettersi in macchina ogni mattina alle sei affrontando migliaia di chilometri, alla docente di Letteratura in bilico tra la solitudine e una grave malattia da poco superata.

“In dieci anni di insegnamento ho metabolizzato situazioni al limite della decenza, al punto da sospettare che niente possa essere in grado di scuotere la mia sensibilità, che va abituandosi a una deleteria consuetudine … Diluvio, questo male estremo che sta entrando nella mia vita, assume un’espressione da imbecille che lo rende convincente tanto fa pena. Dio, abbi pietà di noi, ma soprattutto di lui.”

Un romanzo che rammenda in alcuni punti il film “La scuola” di Daniele Lucchetti del 1995, tratto da un libro di Domenico Starnone, nel quale gli insegnanti, negli ultimi giorni degli scrutini, erano impegnati a manifestare il peggio di loro. In “Se non resta che il diluvio” la nostra scrittrice descrive, con un tocco originale e ironico, situazioni paradossali e a volte tragicomiche. Un concentrato di luoghi comuni tra docenti stanchi e demotivati, disimpegnati in riunioni interminabili, alle prese con una burocrazia ottusa e un preside (Diluvio di cognome), arrogante ed incompetente, che cambieranno il verso della lettura. Gli opposti di un quadro sconfortante sembrano neutralizzarsi, come in una reazione chimica, e il peggio dei protagonisti dirigerà le loro storie personali e scolastiche verso una giusta positività. La nostra autrice è lei stessa un’insegnante, impegnata e sensibile, e la sua visione d’insieme ironica e graffiante, induce a riflessioni attente sulla scuola e sull’insegnamento oggi. Docente di Italiano in un istituto superiore, Tilde Pomes si occupa da sempre delle problematiche adolescenziali legate alla scuola e alla famiglia. Impegnata in prima linea nel rapporto tra studente e insegnante, si è sempre presa cura dei suoi ragazzi, per intenderci alla John Keating l’indimenticabile professare in “L’attimo fuggente,” consapevole che apprezzino le novità nel loro corso di studi, ma che alla fine si chiederanno se il professore tenga davvero a loro. La scuola, la più grande trasformazione della storia del Novecento, è oggi più di ieri continuamente bistrattata, considerata vecchia e malconcia, ma è ancora una delle ultime trincee nelle quali il lavoro dell’insegnante può essere considerato eroico, perché la cosa più importante è, in classe ogni giorno, trovare il coraggio necessario per superare le paure dei cambiamenti.