La vis grata puellis che occheggia in un verso di Ovidio (Ars amandi I, 673) è servita per secoli a giustificare la violenza sessuale persino negli apparati legislativi di tempi non tanto lontani. Sotto questo aspetto, Noce esamina in maniera puntuale, e perfino puntigliosa, i codici degli Stati italiani prima dell'Unità, in vario modo poi accolti nel sistema del nuovo Stato fino al codice Zanardelli (1889), che dà omogeneità e compattezza al campo penale. L'analisi tocca insieme anche gli indirizzi giuridici, dalla 'scuola classica' all'antropologia criminale di stampo lombrosiano, che dall'Unità giungono alla fine dell'Ottocento (con un breve excursus sul Novecento, dal fascismo alla repubblica, nel capitoletto conclusivo). Ne deriva un quadro complessivo (illustrato, nelle sue implicazioni storiche e sociali, sul piano sincronico e diacronico), in cui colpisce la sequela sconcertante di 'pregiudizi', ai quali non riescono a sottrarsi neppure gli spiriti più aperti, come Francesco Carrara, tanto che solo nel 1996 lo stupro sarà riconosciuto un reato contro la persona: un risultato, val la pena ricordare, cui era già pervenuto il diritto illuminista. Persiste, insomma, per più di un secolo, una norma giuridica che si piega alla mentalità comune, con la conseguenza che la violenza sessuale continua a essere sottomessa alla tutela del padre o del marito. Sul principio della libertà, che pure è sancito in molti codici post-illuministi, prevalgono così le ragioni di 'opportunità politica', secondo gli stereotipi che della donna si sono formati gli uomini, a tal punto che anche in sede giudiziaria la vittima finisce col diventare colpevole. Come in effetti avviene di regola nei 74 processi celebrati presso il Tribunale di prima istanza ('correzionale' dopo l'Unità) di Pisa e la Corte regia di Lucca fra il 1850 e il 1878, che sono esaminati negli ultimi due capitoli. Vi sfilano donne di varia età, generalmente di bassa condizione e di assai scarsa cultura, soggette a domande indiscrete, a sgradite perizie medico-legali, a minacce, mercimoni, insinuazioni e dileggi da parte della comunità, secondo un meccanismo che tramuta i dibattimenti in processi alle vittime. Queste pagine mostrano così di che lagrime grondino e di che sangue quei dispositivi giuridici studiati, nella loro asettica impassibilità, nei capitoli precedenti; e si configurano insieme come il punto di incontro tra la tensione euristica dello storico, volto a cogliere il 'nodo' delle dinamiche storico-sociali, e la passione di una donna che si sofferma, pensosa e risentita, sul dolore di generazioni di donne ignobilmente umiliate e offese.