Niente più da dire, pulp e noir son finiti, di Renzo Paris
Se la tendenza è quella di gettarsi alle spalle "pulp" e "noir", non resta che il racconto verticale, scritto con una lingua aderente alle proprie ossessioni d'autore, come fa Tommaso Di Francesco nel suo libro La passione della distrazione allineando ventidue racconti fuori moda. Di Francesco è un poeta, che ha esordito su "Nuovi Argomenti" , sostenuto da Pier Paolo Pasolini, apprezzato anche da Fortini e Volponi. La sua formazione risale ai primi anni Settanta, quando imperava ancora la neoavanguardia e rimaneva un certo realismo sperimentale pasoliniano. Di Francesco, surrealisticamente, ha sempre bisogno di accostare all'evento quotidiano il mito. Eccola la sua distrazione. Il racconto più bello si chiama "Io non guido" dove il protagonista si fa un vanto di non saper guidare. Così facendo può registrare la realtà esteriore distraendosi. Conclude dicendo che non sa guidare anche la sua vita, come se fosse un soggetto decapitato. Quel soggetto riguarda anche i suoi reportage di capo della sezione esteri de il manifesto ? O riguarda il giornale tutto, la sua generazione tutta, coinvolta fino all'osso nella realtà moderna, pur restandone distante e distratta? Spesso in questi racconti torna un padre disabile, che non fa nulla per rendersi simpatico, che rivela prodezze al figlio che è stato costretto, troppo giovane, a diventare padre. E si sente una sofferenza terribile, che ficca le unghie nell'autobiografia. L'altro giorno Di Francesco mi ha detto di essere sconvolto da quelle antologie di poesia che contemplano sezioni dedicate ai poeti del Sessantotto, dove il suo nome non compare nemmeno in nota. Se c'è un sessantottino in poesia quello è lui. Io l'ho rincuorato consigliandogli di distrarsi dalle antologie che sono quasi sempre sfilate di gente di potere. La passione della distrazione è un libro fuori moda ma attualissimo. Se la poesia è vita e sofferenza scrivere è pur sempre un distrarsi dalla morte. L'autore è costretto a gridarlo nel frastuono televisivo, nella giungla delle poetiche neo-neorealistiche contemporanee. Paolo Volponi scrisse di alcuni di questi racconti che non possono essere giudicati «belli, brutti, convincenti o manchevoli... è necessario ciascuno letterariamente a se stesso, per le esigenze superiori della letteratura». Che altro aggiungere? Il racconto è dunque più consono del romanzo nella vita letteraria italiana. Se ne scrivono molti, vanno letti e seguiti.