Tra i ruderi di Groznyj

22-03-2005

La poesia civile in Russia risvegliata dalla guerra cecena, di Nicola Vacca


La forza della poesia può dare testimonianza delle ferite laceranti del nostro tempo. Alcune volte è sufficiente prestare ascolto alla voce dei poeti per comprendere quali possano essere le ragioni belligeranti di un conflitto. La poesia spesso sa essere più incisiva di qualsiasi teoria geopolitica.
È appena uscita, in una pregevole traduzione italiana, un’interessante antologia di poeti di lingua russa che si cimentano con il tema strategico del conflitto ceceno. Tra i ruderi di Groznyj. Il conflitto ceceno nella poesia russa (a cura di Paolo Galvagni, Manni Editori, pp. 19, euro 13) è un testo che ha il grande merito di mettere insieme autori più disparati che, animai dalla fiducia nella orza della poesia, danno una testimonianza concreta del conflitto ceceno.
«Il conflitto ceceno – osserva Paolo Galvagni – che tocca profondamente l’intelligencija russa, ha determinato il rifiorire  della poesia civile in Russia. Largamente presente nella letteratura classica, essa è svanita in epoca sovietica: temendo di finire in gulag, o di restar invischiati nella retorica di regime, in quei bui decenni i poeti accantonarono le tematiche civili».
La guerra, e le dure ragioni del suo aspro conflitto, è vissuta dai poeti con un tragico evento quotidiano con cui bisogna fare i conti. Come per esempio nei versi di Semen Lipkin: «Il fragore innaturale dei cannoni / Si leva un fumo pignolo. / Persone folli hanno deciso / Che è facile morire giovani. / La roccia versa le sue lacrime roboanti. / Il fiume corre con iroso rumore. / È morto il pastore, / Le capre si disperdono. / Il campanello sul collo di un capretto / Rioete k’antico rombo di una minaccia».
Ciascun poeta si è avvicinato alla catastrofe della guerra cecena credendo nelle proprie motivazioni. Per alcuni si è trattato di un atto di impegno civile, altri hanno voluto esercitare un gesto squisitamente poetico. I testi sono diversi tra loro: c’è una poesia autentica d’impegno civile, la lirica pura, ma anche delle furibonde invettive contro il potere russo. Il conflitto ceceno è comunque visto, quasi da tutti, come il crimine di una nazione contro un’altra nazione. Michail Suchotin nel suo poema “Versi sulla prima campagna cecena” documenta le peggiori atrocità: «Sei mesi dopo ad Assinovskaja tre militari hanno violentato / a turno la madre davanti ai suoi re figli, mentre altri in cucina / mangiavano i resti dei vivere e portavano via i tappeti. “Abbiate pietà / per i bambini” – implorava lei –. La risposta è stata: “Ma io non ho figli. Sono orfano e faccio quello che mi pare. / Non conosco la pietà. Sono nato a Sajaski”».
Lesa Tyskovskaja, poetessa di Kiev, si interroga sul senso assurdo di una guerra che nessuno ha dichiarato.
Insomma, in questo interessante reportage in versi, numerosi poeti russi prestano la loro voce per richiamare l’attenzione sulla questione cecena insanguinata da un conflitto che dura ormai da più di un decennio. Con la pubblicazione di questo volume si è voluto dimostrare come dalla poesia possa giungere un’attenzione sensibile ai temi seri dell’impegno civile.