Tra i ruderi di Groznyj

01-07-2005

Letture, di Matteo Fantuzzi


Comprendere un luogo che sulle carte geografiche non è segnalato, all’interno di un territorio che dopo lo smembramento dell’URSS è diventato l’emblema della conflittualità insita nella ricerca dei popoli della fondamentale specifica identità. Fare questa operazione con lo strumento della poesia. L’antologia intelligentemente curata da Paolo Galvagni si propone tutto questo: si prefigge di disegnare l’affresco della situazione cecena guardandolo attraverso ogni occhio possibile, tutte le visuali anche quelle lontane di chi dalla Russia è scappato negli ultimi decenni ed è rifugiato oggi in Francia, in Germania o negli Stati Uniti, di chi fa parte di nazioni vicine alla Russia ma che con tutto ciò teoricamente non dovrebbe avere nulla a che fare, scoprendo così ben presto il grosso nervo della tensione collettiva e ultra-territoriale. Accade ad esempio con Ales’ Razanau uno dei maggiori poeti bielorussi contemporanei, ma è sorprendente in modo forte innanzitutto come questa tensione si percepisca in autori, modalità espressive, anagrafi così differenti passando con netta soluzione di continuità dalla cultura suburbana alla poesia più “ufficiale”con un susseguirsi e un ritornare di immagini e di accenti: gli eventi ruotati dalla parte dei “piccoli” come in Dmitrij Aleksandrovič Prigov o in Viktor Krivulin, la dimensione fantastica e di racconto di Aleksandr Kuljachtin, la descrizione fredda, apparentemente chirurgica di Martin Melod’ev, agghiacciante in Dmitrij Kuzmin o in Andrej Filimonov. Mediato a noi occidentali dalla lontananza dei luoghi, dalla conoscenza attraverso l’asettico mezzo televisivo, dalla non piena comprensione della storia di quei popoli attori di quel terribile dramma, questo conflitto sembra davvero essere qualcosa di non totalmente carpibile. La poesia, la descrizione della quotidianità in tutta la propria brutalità ci avvicina più di ogni altra possibilità a qualcosa che difficilmente da qui si sarebbe potuto veramente vedere. La poesia riesce finalmente a descriverci un luogo che non esiste.