Quelli che per trovare lavoro non sanno a che santo votarsi
Dopo l'orazione a San Precario e un saggio sulla sua vita, iniziano le storie. Così diverse, così uguali. E' Tu quando scadi?, testimonianze di giovani e no, che raccontano la loro "vita precaria". L'introduzione è di Nichi Vendola, peresidente della Regione Puglia. Il Venerdì pubblica il racconto intitolato That Italian Difference, di un assistente di volo dell'Alitalia.
That Italian Difference
Io non sapevo proprio cosa fosse la malinconia. Poi sono diventato uno stagionale Alitalia. Uno steward per la precisione, o assistente di volo come si dice più professionalmente. E in sette stagioni di atterraggi e decolli l’ho capito. La malinconia è una stanza d’albergo dalle pareti color pastello. È una camera dal copriletto in tinta col divanetto e con la fodera del paralume. La malinconia è trovarsi per notti e notti a dormire in un letto diverso sentendoti sempre nello stesso posto. E con l’andar del tempo ti accorgi che la malinconia non puoi sconfiggerla. Ti sono concesse tregue armate. Quelle sì, tante. A volte anche una quindicina al giorno. È una guerra. La mia guerra. La guerra degli assistenti di volo. Non puoi permetterti di essere sconfitto. Cosa porteresti a casa? Cosa daresti da mangiare a tua figlia? Come pagheresti l’affitto? Non puoi sognarti minimamente di vincerla questa guerra mai dichiarata e che ti lascia un giorno morto, l’altro ferito, un altro ancora lanciato all’attacco. La strategia migliore è non pensarci. È far finta di niente. È tacere a te stesso e soprattutto agli altri. In Alitalia siamo in tanti a cavarcela così. Siamo una società segreta. Una società segreta e senza nome, senza scopo, senza strada, senza meta. Senza inizio e senza fine. Niente e nessuno ci aspetta. Come quando apri la porta della tua camera d’albergo.
La vocazione… quella sì che è un’altra bella bestia da domare. La vocazione mi spingeva all’insegnamento. All’insegnamento dell’inglese. Mi sono persino laureato. E c’ho provato. Ah quanto ci ho provato ad insegnare. Un mese di supplenza lì. Due mesi là. Per alcuni anni ho tirato avanti così. Poi gli insegnanti tra loro si innamorano. Sarà perché in fondo in fondo sono un po’ attori. E come gli attori vivono tutto dentro la loro cerchia. È un mondo generoso quello della scuola. A me ha donato Federica: insegnante precaria come me. E dopo due anni Federica mi ha donato nostra figlia Chiara. Potevo chiedere di più al Ministero dell’Istruzione? No, non potevo. Mollo la scuola. Con una bimba a carico devi lavorare tutto l’anno. Inizia la caccia a qualsiasi tipo di occupazione. Finisco nel girone infernale delle guide turistiche. Imparo tutto sul Colosseo, i Fori Imperiali, Villa Adriana. Di notte studio il tedesco. Non basta. La concorrenza è spietata. A Roma il mondo delle guide turistiche è pieno di gente di tutte le età e di tutte le nazionalità che si offrono per un tozzo di pane. Arrivo a lavorare fino a 15 ore al giorno. Guadagno poco. Mi salvano le mance dei turisti. Quando l’agenzia non mi chiama faccio il cameriere in una pizzeria del centro frequentata soprattutto da stranieri. Me la cavo così per un paio d’anni. Neanche a Federica va bene. Precaria era e precaria continua a restare. Insegna sì e no cinque mesi l’anno. Per fortuna di tanto in tanto i nostri genitori ci sganciano qualcosa. Senza rendermene conto ho dato l’addio alla scuola. Del mio mondo non è rimasto neppure il ricordo. Non ho tempo per ricordare. E la vocazione? Oh quella ogni tanto riaffiora. Come una pugnalata in petto. Finisco sempre per darle un appuntamento: “Presto torneremo insieme, vedrai…”. Poi la bidono. Lei si riaffaccia. Altro appuntamento. Altro bidone. Alla fine entrambi abbiamo perso la speranza. Ognuno per la sua strada. Ma dove sarà andata?
Non so come ma quando sei precario permanente ti si sviluppa un fiuto pazzesco per reperire lavoro. Sei un animale sempre a caccia, sempre all’erta, sempre con le orecchie tese. È la paura che ti istruisce. Gran maestra la paura. Maestra di vita. Vita da cani è ovvio. E un giorno mi ritrovo solo come un cane. A Roma piove che dio la manda, c’è pure una megamanifestazione sindacale che fa del centro un ingorgo concentrico, i turisti sono tappati in albergo e così l’agenzia mi rimanda indietro. Non torno a casa. Mi rifugio in un bar a pensare come tirar su soldi. Dalla parte opposta del bancone sento due tizi che parlano di Alitalia, chiamate, corsi d’inglese. È il 1998 e inizio a volare con un contratto a tempo determinato. Un capetto tutto distinto mi assicura l’assunzione a tempo indeterminato da lì a breve. Determinato… Indeterminato… Sono passati sette anni e sono ancora precario: la mia stagione dura in media sei mesi l’anno. Poi resto in attesa. E l’attesa si trasforma in angoscia. E l’angoscia maggiore è non sapere se sarai richiamato. Tra una chiamata e l’altra possono passare due mesi, oppure cinque. Chi lo sa? Tu sei l’ultimo anello della catena. Anzi: sei un anello a seguito della catena. Sei l’anello di scorta. E sei l’ultimo a sapere la bella notizia. L’aspetti, la bella notizia. Eccome se l’aspetti. E mica solo io: tutta la famiglia è in attesa. Poi quando la bella notizia arriva non sei così contento. Ma puoi confessare il tuo sottofondo di delusione a qualcuno? Macché. Non puoi per non spegnere l’entusiasmo delle persone che ami. Non devi perché non si sputa nel piatto dove mangi. Non vuoi per non alimentare Madame Malinconia. Anche questo è lavoro. Lavoro non pagato. Così come non ti pagano le ferie né le festività.
Tu lo sai cosa è il feed-back lavorativo? Io non lo sapevo prima di salire su un aereo. La cosa funziona così. A conclusione di ogni iter di volo, che può durare da due a cinque giorni consecutivi e che in gergo è chiamato avvicendamento, il responsabile di cabina è tenuto a compilare una scheda descrittiva. Nella scheda descrittiva è valutato come indossi la divisa, come ti relazioni con colleghi, come te la cavi con i passeggeri e così via. I rapporti sono poi inviati al settore che gestisce gli stagionali e alla fine del contratto sostieni un colloquio con qualcuno dell’Ufficio del personale. Alla fine del colloquio ecco stabilito il feed-back lavorativo espresso in percentuale. A cosa serve il feed-back lavorativo? A decidere se richiamarti o meno. Dipende da come ti sei comportato. Ci comportiamo bene noi stagionali. Mai scioperato. Mai detto no. Io però sono nell’elenco dei sospettati. Ne sono sicuro. Ubbidisco ma non risulto devoto. Nessuno è mai stato chiaro sull’argomento. Ma lo sento. Lo percepisco dal tono delle parole di qualche capocabina e dei quadri dirigenti che in tutti questi anni mi hanno percentualizzato. Questione di sfumature penserai. Mica tanto. Da quando l’Alitalia ha fatto il restyling dell’immagine aziendale la Brand Map contempla tra i suoi plus la voce: “That Italian Difference”. Che cosa è? È il “Tono di voce: Attento, Empatico, Intelligente”. È lo “Stile: Coinvolgente, Autentico, Accogliente”. Qualche volta c’ho provato ad applicare l’Italian Difference: sorriso da spot, voce calda, sguardo premuroso. Ma dopo un po’ mi viene da ridere. Così faccio il mio lavoro tranquillamente, senza eccessi: come sempre. E come sempre il mio orario si aggira tra le 10 e le 14 ore al giorno. Un arco di tempo che comprende: le ore effettive di volo, i tempi di transito tra un volo e l’altro, ritardi per cattive condizioni meteorologiche o per problemi di natura tecnica. Dopo sette anni di questa solfa hai poco da essere empatico e coinvolgente. Ma bisogna ammettere che la compagnia qualcosa l’ha cambiata per davvero: la A iniziale del marchio Alitalia è stata inclinata. Una trovata degli esperti di comunicazione. Dicono che dia più “dinamicità, leggerezza, equilibrio”. L’anno scorso l’Alitalia ha rischiato di fallire. Abbiamo tremato tutti. Noi stagionali più degli altri. Ma con dinamicità, leggerezza, equilibrio.
Adoro i racconti dei colleghi con vent’anni e più di esperienza alle spalle. Adoro la loro nostalgia dei bei tempi andati. Quando all’Alitalia i turni di lavoro erano umani. E avevi il tempo per fermarti a Parigi e visitare una mostra, andare ad un concerto, entrare in un museo. Ti capitava persino di fare amicizia con gente del posto. Amicizie che non duravano, certo. Ma interessanti. E che poi raccontavi. La nostalgia maggiore l’avverto quando gli “anziani” parlano delle relazioni tra colleghi. C’era il tempo per coltivarle. A fatica, indubbiamente, perché non voli mai con lo stesso equipaggio. Ma l’atmosfera era diversa. Ci si parlava. C’era maggiore spontaneità. Poi nell’intreccio del racconto emerge la parola magica: socializzazione. Parola oggi bandita dal vocabolario e dalla pratica aziendale: richiama troppo quella cosa là, quella cosa vecchia e pericolosa. Sì, l’hai capito: socializzazione = socialismo. Via, basta. Il socialismo non c’è più. Perché mai dovrebbe esserci la socializzazione? Mi viene in mente Bruna, la mia collega. Diverse volte abbiamo giocato a carte in qualche camera d’albergo insieme agli altri membri dell’equipaggio. Non si trattava solo di ammazzare il tempo. Almeno a me non pareva così. Lei è una donna raffinata, sorridente, grandi occhi verdi. È una persona solare e allo stesso tempo ti lascia dentro un senso di tranquillità. Pensavo di conoscerla. Poi qualcuno mi ha detto che è divorziata e che il figlio le dà un sacco di problemi. Allora Bruna tratta i colleghi come i passeggeri: con distaccata professionalità. Morale: siamo degli estranei. Ne prendo atto e mi difendo: da colleghi sempre nuovi e sempre uguali, da passeggeri sempre nuovi e sempre uguali, da camere d’albergo sempre nuove e sempre uguali.
Disposizione ministeriale: il limite massimo di impiego di un assistente di volo è 14 ore. In diverse occasioni a me è capitato di superare il tetto orario. Ho continuato a lavorare. Ho un feed-back lavorativo con cui fare i conti io. Ma fai presto a farli: basta non contare. Quando i colleghi scioperano devi lavorare anche per loro. Se hai un bimbo piccolo non ti sognare di chiedere congedi parentali. Se hai qualche linea di febbre non sperare di metterti in malattia. Per gli stagionali Alitalia l’unica operazione autorizzata è la sottrazione. Non pensare di chiedere più diritti. Anche perché nessuno te li ha tolti. Sei libero di scioperare e di ammalarti. Ma l’anno dopo resti a casa. E come rinunciare a un posto che molti ti invidiano? «Guadagnate bene voi steward.» «Ah potessi far io l’hostess all’Alitalia…». Così sento dire ogni tanto da qualcuno che viene a trovarmi a cena e che pensa che la realtà sia quella che legge sui giornali. Per 70 ore di volo mensili porto a casa 1.500 euro. Non solo: non accumulo anzianità: per la compagnia ogni anno è come se fosse il primo. Allora i miei ospiti mi guardano straniti. Lì per lì non mi credono. Esibisco la busta-paga. Lo faccio come se fosse una multa. Non credono ai loro occhi. Assumono un’aria smarrita. Guardano nel vuoto. Ma si riprendono subito: «Be’ c’è di peggio.» «Coi tempi che corrono…». Ma io non ho pietà. E inizio a raccontargli di quell’anno che mi hanno sbattuto per tutta la stagione a Malpensa. Gli racconto dell’appartamento di due stanze, bagno e angolo cottura alla periferia di Milano. Un appartamento dove vivevamo in cinque, più qualcuno che andava e veniva. Li stendo informandoli di tutte le volte che finito l’avvicendamento non trovo posto in aereo e devo aspettare quello del giorno dopo. E della fatica che si fa a trovare un motel a prezzi accettabili. Non contento li colpisco quando sono a terra: sto fuori casa quattro giorni di fila, spesso anche cinque. Massimo due giorni di riposo e poi di nuovo in volo. Mi snocciolo quattro tratte al giorno: Roma-Milano; Milano-Varsavia; Varsavia-Milano; Milano-Lamezia Terme. Parto alle dieci del mattino e se tutto va bene sono a letto a mezzanotte. È vita questa? Ma non posso rovinare la serata e rendere tutti tristi. Alla fine cedo. Cedo all’improvviso quando nessuno se l’aspetta più: «È vero: c’è di peggio… Coi tempi che corrono…». Torna il sereno. La serata è salva. Brindiamo.
Testimonianza raccolta da Patrizio Paolinelli