E il "warfare" conquistò il mondo, di Osvaldo Guerrieri
Ecco un romanzo che non sarà inutile leggere. Parla di noi e del nostro passato, ma anche di un nostro possibile e indesiderabile futuro, cioè dei giorni in cui il mondo, sopravvissuto alla terza guerra mondiale, sarà dominato dalla cyber-democrazia di un Supremo Ordinatore. Con l’artificio del diario ritrovato, il racconto di Ugo Ronfani ci conduce in Val Cannobina, in quel tratto di Alpi che s’inarca tra il lago di Como e la Svizzera. Comincia dalla seconda guerra mondiale. Pietro è un bambino che vive in una piccola comunità di contrabbandieri con la cugina Neda e con la nonna in odore di stregoneria. Per sfuggire ai rastrellamenti e agli incendi prima nazisti e poi repubblichini, i due bambini fuggono sui monti e si rifugiano in una caverna per un tempo indefinito. Dopo la morte di Neda e quando finalmente viene ritrovato e condotto in Svizzera, Pietro è diventato in tutto e per tutto un uomo, ma delle caverne, un uomo preistorico, e in quanto tale viene studiato e rieducato. La rieducazione è così efficace, che l’ex selvaggio diventa un luminare, un’autorità, la cui scienza serve soltanto a riconoscere il girare a vuoto di un mondo ormai senza controllo, privo di umanità e aperto, anzi spalancato alla minaccia del “warfare”, la guerra sotterranea e permanente a cui nessuno può sfuggire.
Ipotesi troppo ardita? Chissà. Ma oggi è sufficiente aprire un giornale per vedere come una specie di “warfare” stia in effetti inzuppando il pianeta con la rapidità e l’irresistibilità di una tracimazione non soltanto terroristica o integralista. Ronfani, che si è nutrito dei grandi moralisti francesi, si spinge ovviamente più in là, prefigura una condizione umana e politica uscita dai cardini della logica. Non si limita alla fantacronaca, per quanto stupefacente essa possa apparire. Il suo romanzo è molto più complesso. Mescola favola, storia, moralità, profetismo apocalittico con un sagace dosaggio degli ingredienti e dei toni. Si aggancia al Bacchelli anarchico del Diavolo al Pontelungo e si protende verso il 1984 di Orwell. Sbaglieremmo a credere che tale spinta provenga dal gusto per il divertissement. Ci sembra originata invece da un pessimismo etico che nel Memoriale delle caverne assume i toni del risentimento, a tratti della poesia, molto più spesso della disperazione.