Il libro comico di Vito Bruno, di Giovanni Turi
Con La rinascita del pesce palla (Manni, pp. 200, euro 16) Vito Bruno cambia ancora una volta registro stilistico ed editore: Mare e mare (e/o) è un romanzo sperimentale di formazione, Il ragazzo che credeva in Dio (Fazi) è un noir in cui l’intreccio prevale sulla ricerca stilistica, L’amore alla fine dell’amore (Elliot) è un libro-testimonianza intessuto di affetto e di lirismo; ma la sua produzione annovera anche una raccolta poetica, Movimenti (Aelia Laelia), una di racconti, Cirlè (Feltrinelli), e altri due romanzi, Per invecchiare ho bisogno di tempo (Stalker) e Domenica ti vengo a trovare (Marsilio).
La rinascita del pesce palla ha per protagonista Milo, un velleitario scrittore, nonché nobile decaduto, alle prese con la calura romana di un weekend di giugno e con il proposito di farla finita, dopo che l’ennesimo rifiuto editoriale gli ha reso manifesto il fallimento nell’unica impresa in cui abbia davvero creduto: «aspettando il momento X in cui sarei stato sparato come un razzo nel firmamento della letteratura mondiale, ho rimandato a data da destinarsi amori, donne, figli […]. Poi un giorno ti svegli e oplà, sei un vecchio catorcio in disarmo».
Occorre tener presente che nella finzione letteraria si tratta, appunto, di pagine che l’egocentrico protagonista scrive in maniera compulsiva (e dunque biliose, deliranti, ombelicali), facendo attenzione a non confondere le sue riflessioni con quelle di Vito Bruno, anche quando, presumibilmente, i due sembrano quasi sovrapporsi. Allo stesso modo le maldicenze sul mondo editoriale e i caustici commenti su alcuni autori (da Eco a Siti, tanto per nominarne un paio) sono imputabili alla finzione narrativa (o forse no?). Certo, di qualche eccesso si sarebbe anche potuto fare a meno – come le due pagine di sinonimi della parola “pene” ispirate dall’irrisione della Littizzetto –, ma in fondo sono proprio l’eccesso e il sarcasmo a caratterizzare sia Milo sia La rinascita del pesce palla.
Così la vita affettiva di Milo è circoscritta a Mirko, il figlio di un amico a cui si trova spesso a fare da baby-sitter, e all’algida madre, relegata a una casa di riposo per nobili; così non è mai stato capace di trovare una qualche occupazione non occasionale (nemmeno dopo aver dilapidato il patrimonio di famiglia). Tutta la sua energia si è riversata e si è esaurita nella stesura dei suoi trentotto manoscritti e di innumerevoli diari, ed è proprio concepito come una sorta di diario La rinascita del pesce palla: cronaca espansa di quelli che sarebbero dovuti essere i suoi ultimi tre giorni, senonché – come rivelano sia il titolo dell’opera sia la quarta di copertina – Milo comprende che non è nell’universo letterario che si realizzi l’esistenza. «È qui, in questo mondo qui, in questa luce cruda, in questa confusione eterna come il dolore e simmetrica come l’amore quando accade, che tocca giocare la propria partita: dannarsi per sempre o salvarsi».