Poesia, un culto da celebrare nei templi universitari, di Nicola Vacca
Yves Bonnefoy, il più grande poeta di lingua francese vivente, è innamorato dell’Italia al punto da considerarla la sua seconda patria. Al nostro paese Bonnefoy ha dedicato numerosi saggi.
Le nostre istituzioni accademiche hanno riconosciuto la grandezza di questo straordinario poeta, già divenuto un classico della letteratura contemporanea. Il 31 maggio del 2004 l’Università di Siena gli ha conferito la laurea honoris causa. In quell’occasione Bonnefoy tenne un discorso sulle funzioni della poesia, sui suoi possibili rapporti con le istituzioni culturali. Il poeta interviene anche sul legame tra sapere e immaginazione e si sofferma, in modo particolare, sulla relazione tra organizzazione delle discipline e invenzione, tra conoscenza e ritmo. Il testo di quella Lectio Magistralis adesso è diventato finalmente un libro (Poesia e Università, Manni editori, pp. 96, euro 8) pubblicato nella stesura originale francese con testo a fronte nella traduzione di Donata Feroldi e una nota di Antonio Prete.
Bonnefoy rivendica l’unicità del linguaggio poetico: «Certo, la poesia è una e indivisibile. Attraverso secoli e paesi, essa è la stessa fondamentale attitudine dello spirito di fronte a ciò che, o piuttosto di fronte a ciò che della realtà empirica fa il linguaggio, nelle cui contraddizioni e semplificazioni molte componenti del nostro essere al mondo si perdono e si confondono, col rischio che ne risulti ostacolato, quando non addirittura interrotto, quello scambio su cui si basa la società». La poesia, avverte il poeta, è la volontà di riparare la miopia del linguaggio e i danni che ne risultano per la parola. Bonnefoy ritiene che bisogna partire dall’unicità universale della poesia per definire in seguito le questioni legate alla sua funzione nei rapporti con le istituzioni.
Prima di trattare il rapporto tra poesia e università il grande poeta fa piena luce sulla «funzione puramente ontologica della poesia, la sua vocazione a permettere, grazie alla scrittura, l’esperienza dell’essere nell’esistenza». In una fase della storia in cui la poesia è in crisi e importante il ruolo che può svolgere l’Università, che in questo caso rappresenta l’istituzione culturale.
Da poeta e da traduttore, Bonnefoy reclama da parte degli universitari maggiore attenzione per la poesia. Per realizzare un’amicizia più stretta tra ricerca intellettuale e poesia c’è bisogno di un rapporto aperto e fiducioso tra poeti e ricercatori. È importante capire se questo rapporto così antico possa essere mantenuto o rilanciato nel presente e, se sì, in che modo.
Egli trova la risposta a queste perplessità nella funzione della poesia, ampliando l’orizzonte delle sue convinzioni: «La poesia? È semplicemente il bisogno che abbiamo di incontrare le cose e gli esseri del nostro mondo ordinario, l’unico che esista, in maniera più immediata e piena di quanto permetta l’esercizio del pensiero concettuale».
Ci sono diversi modi per interpretare la grandezza di questo poeta geniale e unico. Questo volume ce li suggerisce tutti, perché troviamo nelle parole di Yves Bonnefoy il senso e il cuore della verità della poesia «sapere della finitudine, vale a dire della realtà al di sotto dell’apparenza, ed è anche il progetto di tenerne viva la memoria, per un’esistenza restituita alla pienezza».
Perché la poesia non si spenga abbiamo bisogno di poeti che pensano che Yves Bonnefoy, che tengono salda la sua stessa verità nella pienezza dell’esistenza.