Yves Bonnefoy, Poesia e università

01-05-2007

Una ricognizione del quid poetico, di Roberta Bertozzi

Prendendo le mosse da una prolusione centrata sul rapporto che intercorre tra poesia e ambiente universitario, pronunciata all’Università di Siena nel 2004 e ora edita da Manni, Bonnefoy si spinge fino alla ricognizione del quid poetico e della sua specifica qualità euristica e ontologica. Facendo discernere la prima dalla seconda, indicando cioè come in poesia ogni atto conoscitivo, ogni comprensione, non possa darsi se non attraverso una incarnazione, un ravvicinato contatto con l’essere e, di conseguenza, una trasformazione della nostra coscienza. Per Bonnefoy, la poesia non è solo uno strumento per registrare e comunicare il reale, ma «l’esperienza dell’essere nell’esistenza» – non solo raffigurazione dunque, ma espressione, effettivo dare corpo a una presenza. È questo carattere di rivelazione, di concreta epifania, a distinguerla dalle altre pratiche letterarie, dato che la poesia «da quella gestione immaginativa dei desideri e dei bisogni della persona o del gruppo si separa sin dall’origine per il suo obiettivo, che è la trasgressione dei significati che si incontrano nelle situazioni della vita sociale o piuttosto la messa in questione del significato in quanto tale». La poesia supera quello stadio di determinazione del significato così come esso si viene coagulando storicamente, nelle diverse forme sociali e culturali – come una sonda essa penetra ed espunge un senso più vasto e originario, di cui ogni singola presenza è il vivente tramite. Una riflessione, questa, strettamente legata alla sua esperienza di scrittura, allo sperimentare la poesia come «memoria del qui ed ora sciolta dagli inganni che l’immaginario moltiplica», incontro immediato con la realtà, svincolato da quegli aggiustamenti, da quelle recinzioni concettuali che il pensiero costantemente elabora. La prassi del poeta si deve riversare dunque in un assiduo controllo di ogni astrazione, in un attento vaglio fatto puramente linguistico, dato che «la preda è la presenza al di là delle sue rappresentazioni». In questa prospettiva il linguaggio diviene il supporto, variabile e imperfetto, di una matrice antecedente, e la traduzione il lavoro di scavo, la sgrossatura, l’infinita approssimazione al fondamento della parola – il luogo dove essa ha incontrato intensivamente la realtà. In questa direzione si muove l’alleanza tra poeti e università: sodalizio che, liberatosi dal fantasma postromantico di un’arte dissidente, unicamente votata alla trasgressione dei codici, incompatibile con gli ambienti accademici, è significato dalla ricerca e dallo sforzo comune di comparare e costruire, di stabilire ponti e correlare, di rinvenire, sotto la vernice della contingenza storica, delle diverse declinazioni culturali, la nostra comune radice.