È un lungo poema che coniuga la realtà di un fatto storico e la poesia che si sposa alla filosofia. È una grande allegoria della vita e delle tragedie sociali, di un potere politico incapace e miope comune ad ogni tempo. Protagonista è anche una zattera, scempio che galleggia, abitata da uomini che hanno come unico orizzonte l’oceano e di umano ormai soltanto lamenti.
Giustizia, uguaglianza, amore infinito per la libertà s’inabissano e riemergono dai flutti occupando interamente la mente del lettore.
Carlo Capuano è nato a Montecatini, vive a Roma. Grafico, pubblicista, scrittore, è presente in manifestazioni e mostre. Per sei volte ha partecipato all’Humourfest di Foligno e ha avuto significativi riconoscimenti per la sua produzione. Pubblica anche disegni satirici su vari periodici. Viaggia molto e ha soggiornato a lungo in Inghilterra e in Germania.
Primi versi
Piegato il corpo da chissà quanto ormai
in attesa che si plachi la tempesta
sempre sulla zattera ammassati
fra i gemiti e i tormenti dei compagni
abbandonati dove porta l’onda
immiserita la severità del tempio
natura d’altri eventi
esposti già a giudizio
a sicura pena condannati
da chi è stato risparmiato dalla sorte.
Se c’è qualcuno che dolente freme
per il destino dei sopravvissuti
altri, con meno diffidenza per l’ignoto
sempre difesi dal conforto del potere
i soli colpevoli, non provano rimorsi.
È l’atteso momento
di improvvisi messaggi
le palme al cielo
per chiedere l’aiuto
come parole uscite dalle mani
e chi lo crede certo
si abbandona, docile,
all’insensata gioia
di un momento.
Poi, sarà l’umiliazione
di un ultimo inganno.
Ora, rimasti rigidi,
aspettando,
i volti segnati
dalle offese del vento
fissi rivolti
verso un limite vuoto
che a qualcuno
appare ancora certo,
a chi non sopporta
l’immediato orrore
è la segreta convinzione
di evitare la rovina.