Antonio Errico, Stralune

28-12-2008

Il ritorno del distertore, di Teo Pepe

Un romanzo scritto con il linguaggio di un poema, un poema che ha i personaggi di un romanzo. La sintesi – rubata alla quarta di copertina – è efficace ma non dice tutto perché Stralune, l’ultimo libro di Antonio Errico, è anche di più. È il viaggio visionario di un uomo, in una notte senza tempo, alla ricerca di se stesso, delle figure amate e perdute, un “disertore” che cerca disperatamente di riempire la solitudine tentando di riannodare i fili della propria esistenza.
Stralune è in fondo un bilancio. Esiste il momento giusto per fare bilanci?
Credo che scrittura sia sostanzialmente un bilancio, una sorta di resa dei conti con se stessi, con la propria gente, con la propria terra, con i vivi e con i morti, con il presente e con il passato. Poi ogni bilancio consuntivo serve per un bilancio di previsione. Questa è un’operazione che le aziende fanno ogni anno e che un uomo fa ogni giorno. Certo, ci sono innumerevoli metodi per fare un bilancio. Chi crede nel valore e nel senso delle parole e delle storie lo fa con le parole e con le storie.
Il tuo libro evoca una sorte di stato di trance, dove si fondono i ricordi, quindi ciò che “è stato”, e visioni, ovvero ciò che “poterebbe essere stato”… Sarebbe bello poter bussare ad una porta per tentare, come nel libro, di conoscere la verità. È una soluzione letteraria, ma non solo…
Non solo, è anche finzione. Sappiamo perfettamente che non esistono porte che si aprono svelandoci la verità. Come dici, quello che “è stato” e quello che “potrebbe essere stato” non fanno altro che creare un tempo differito, falso, cioè il tempo del racconto. Ogni racconto è sempre una menzogna, oppure un gioco, un camminare sul filo senza rete sotto.
Come altri tuoi libri, Stralune ha la forma di un poema. Perché questa scelta? Chi immagini che sia il tuo lettore?
Le parole e le storie esistono già tutte. Noi non possiamo inventare niente. Siamo soltanto copisti. Bene che ci vada riscrittori. L’unica cosa che possiamo fare è quella di cercare forme diverse per mettere insieme le parole e modi nuovi di raccontare vecchie storie. Sono convinto che il romanzo poematico sia coerente con questi tempi, perché costituisce la mistione di due generi fondamentali. Poi, la verità è che mi piace scrivere così. Non so chi possa essere il mio lettore. Se a Manzoni ne bastavano 25, io posso fare anche meno della metà.
C’è un Sud della memoria che emerge spesso dai tuoi scritti. Che cosa il Sud di oggi ha in meno di quello di ieri? E che cosa ha in più, detto da un uomo di scuola come te che investe sul futuro e sui giovani?
Di meno: passione, senso della misura, considerazione dei Padri. Di più: creatività, tensione aggregante, ricerca di libertà. Al di là di molti luoghi comuni, tutte le volte che ti confronti con i giovani ti accorgi che sono migliori di come eravamo noi alla loro età.
C’è un’iperproduzione “letteraria” in Puglia e in tutta Italia. Qualità a parte, come ti spieghi che l’obiettivo di “essere scrittore” si consolidi in una società dove pochissimi amano leggere?
Rina Durante e Aldo De Jaco sono durati 50 anni. Giovanni Bernardini ha pubblicato il primo libro credo nel ’69 e l’ultimo qualche giorno fa. Quanti di noi dureranno tanto tempo? Magari prendiamo l’impegno di ritrovarci qui tra vent’anni a fare il conto, se Dio vuole. Di una cosa però sono sicuro: che di quelli che scrivono un libro perché pensano che valga come tessera al circolo vip avremo anche dimenticato il nome.
Uomo di libri e uomo di scuola. La letteratura può aiutare i giovani ad avere un migliore rapporto con la realtà e con e stessi?
E se non lo fa la letteratura cos’altro lo può fare? Permettimi una citazione. Dice Iosif Brodskij che la letteratura ha la funzione di salvare il prossimo uomo, colui che verrà.
Da cosa ci dobbiamo difendere? Il protagonista di Stralune fugge la solitudine, quasi come se crescere, e vivere, facesse diventare più soli.
Dobbiamo difenderci dal vuoto che può crearsi intorno e dentro di noi. Gli altri sono essenziali per il nostro esistere. Il disertore di Stralune ritorna per ritrovare gli altri, per non essere più solo. Forse sono gli atri che sono fuggiti lontano con il pensiero, che negano all’uomo la possibilità del cambiamento, che rifiutano il perdono.