Antonio Porta, La scomparsa del corpo

04-12-2010

Eros e castrazione nei racconti di porta, di Gian Maria Annovi

“Dalla parola scritta potrei risalire alla mano, alla nervatura, al sangue, alla pulsione.”  Quanto scriveva Roland Barthes in un suo celebre saggio postumo,Variazioni sulla scrittura, a proposito della profonda osmosi tra quest’ultima e il corpo, sembra echeggiare in un racconto di Antonio Porta del 1982, dove lo stridore di un albero tagliato, che è poi lo stridore, il brusio, di tutto il reale “si propaga alla mano e invade la scrittura”. Il racconto si può leggere ora in La scomparsa del corpo, una raccolta in un certo senso postuma del poeta milanese, tra gli esponenti principali del Gruppo 63. Otto di questi ventitre racconti erano infatti già stati pubblicati da Guanda nel 1981, con il titolo Se fosse tutto un tradimento. Le resistenze da parte dell’editoria d’allora, ma soprattutto l’improvvisa morte dello scrittore nel 1989, impedirono di pubblicare la raccolta definitiva, ora coraggiosamente accolta da Anna Grazia D’Oria nella bella collana pretesti dell’editore salentino Manni.
Come ha ricordato più volte Niva Lorenzini, che di Porta ha curato l’edizione Garzanti di Tutte le poesie, la radicalità della sua esperienza linguistica è anche una totale esperienza corporea, un sondaggio delle pulsioni più profonde del corpo, dei suoi limiti e della sua capacità di deformazione. Cosa significa dunque la scomparsa del corpo annunciata nel titolo? Significa il rischio della non espressione, la fine della scrittura. Nel racconto intitolato La bomba che – scrive Rosemary Liedl Porta nella sua nota ai testi – sarebbe dovuto uscire sul Corriere all’inizio dell’agosto 1980 ma finì per non essere pubblicato a causa della strage alla Stazione di Bologna, la protagonista sente che senza quella “finzione-convenzione” che è lo scrivere, il suo corpo “potrebbe andare in pezzi, esplodere.” Ad innescare la detonazione che cancella il corpo è dunque il non-poter-scrivere-più, tanto che per le voci narranti di questi racconti, scrivere arriva a significare anche “qualcosa di più: vivere”.
In Porta la scrittura è infatti esperienza di vitalità massima, biologica, una vitalità spesso associata – proprio come in Barthes – al piacere (“il piacere di raccontare”), vera esperienza che apre all’orizzonte del possibile (“tutto è impossibile salvo la scrittura”) in una realtà dove “tutto cambia con una lentezza esasperante” e “gli spostamenti sono millimetrici”, quei  millimetri che un altro poeta milanese della generazione successiva, Milo De Angelis, scrutinerà con inedita forza espressiva. Del narrare e dello scrivere, i racconti di La scomparsa del corpo fanno una vera e propria tematica. Le costanti riflessioni metanarrative collocano questa raccolta nell’ambito di quel postmoderno italiano di cui Calvino, nel 1979, con l’uscita del suo Se una notte d’inverno un viaggiatore, si confermò il principale esponente. Tuttavia, mentre per Calvino il linguaggio è una camera chiara, per citare il titolo originale del saggio di Barthes sulla fotografia, una tersa immagine mentale che seduce, Porta è attratto dal linguaggio anche per la sua capacità di ferire. Oltre ai temi dichiarati del sogno e dell’eros (è fin troppo costante la presenza della donna come attraente e spaventoso oggetto d’avventure erotiche), uno dei temi striscianti e forse inconsci de La scomparsa del corpo è quello della castrazione, già presente nella poesia portiana a partire da I rapporti.
Nonostante non si possa che raccomandare la lettura di questa raccolta, che colma una lacuna editoriale durata sin troppo tempo, non è qui che s’incontra il Porta migliore e che resta una delle voci poetiche più importanti del secondo novecento italiano. L’esempio più affascinante e importante della prosa portiana resta infatti quello affidato allo sperimentalismo di Il re del magazzino (1978). La scomparsa del corpo sembra arrestarsi in una zona più opaca, disomogenea nella capacità di coinvolgere e più distante dall’acuminata capacità di penetrare il lettore che caratterizza i più riusciti versi portiani. E tuttavia, anche questa raccolta è la testimonianza necessaria, oggi più che mai, dell’importanza del linguaggio come riflessione sul soggetto e sul mondo, un linguaggio che – scrive Porta – deve essere “isola di salvezza, non un rifugio di sopravvissuti”.