Il business del Negociador tra banane, futuro e ideali, di Cristina Lavinio
Può avere pensato anche alla Sardegna Corrado Sobrero, nato a Torino nel 1968 ma da madre sarda, autore del bel romanzo Nevica sull’Isola di Baro nonostante, in questa che è la sua opera prima, ci sia un’isola lontana nello spazio e nel tempo: siamo nell’800 e Baro è una sperduta isola tropicale sudamericana. Vi si coltiva da sempre la canna da zucchero e l’intero raccolto viene affidato a chi ricopre la carica di Negociador; che lo vende in un lontano mercato. Il ricavato viene diviso in parti uguali tra le ventisette famiglie di Baro. Così da più generazioni, in una tradizione immutata, custodita attentamente da tutti,con un Arcidiacono che minaccia castighi divini a chiunque esca dal seminato.
Solo che a Hugo, giovane e intraprendente Negociador, viene una volta l’idea balzana di acquistare, con parte del ricavato, tre rizomi di una pianta da frutto misteriosa che potrebbe migliorare, articolandola e variandola, l’economia dell’isola. Basta questo a sconvolgere la piccola comunità, spaventata dalla strana pianta. Hugo parte per trovare il denaro con cui risarcirà la comunità di Baro della spesa dell’acquisto dei tre rizomi. E tornerà con il denaro e altri rizomi. A chi gli chiede come se li è procurati, dice di avere venduto il futuro…
In questa vicenda si muove una folla di personaggi attraversati da sentimenti contrastanti, fino a che la curiosità e l’attrazione per tutto ciò che è proibito finisce per avere la meglio, al di là dell’attaccamento a una tradizione che demonizza e teme ogni innovazione, non solo economica, ma anche sociale e morale. A Baro i matrimoni sono stati sempre combinati, le donne prive del diritto di parola o, comunque, insignificanti nella gestione della ‘cosa pubblica’, i colori –e tra questi soprattutto il giallo– banditi come immorali. E il racconto, appassionante e intriso di una buona dose di mistero, rivela via via l’insensatezza di tutto ciò.
È anche una grande metafora del tema, attualissimo, dello “sviluppo sostenibile”. Non a caso sono presenti molti dei temi connessi all’innovazione: la crescita dell’istruzione e della cultura, lo spazio della donna nella politica, il rispetto per l’ambiente. Sono temi abilmente gestiti da un autore che, economista laureato alla Bocconi, riesce a farli leggere in controluce nello sviluppo della vicenda, incorporandoli senza pesantezze nella storia narrata e incarnandoli nei suoi personaggi.
Va aggiunto che la storia diventa subito appassionante. È costruita in modo tale da generare l’immediata curiosità del lettore, grazie a un’abile disposizione e dosaggio delle informazioni.
Il linguaggio è semplice e altamente ritmico, spesso giocato su segmenti ripetuti che tornano a breve distanza quasi con le stesse parole, con modalità tipiche della narrativa epica. Tutto ciò dà al romanzo anche un vago sapore di epopea. E solo a metà il lettore che non le abbia ancora identificate scopre che sono piante di banana quelle che Hugo porta nell’isola. Mentre solo alla fine si svela il senso misterioso del suo aver venduto il futuro, così come si scopre l’identità del signore elegante che arriva nell’isola per esigere da Hugo… che cosa? Ma non bisogna dire troppo, per non togliere ai lettori il gusto di leggere una vicenda in cui non mancano né una morte misteriosa, con un prete ‘caramellato’, né un’altrettanto misteriosa scomparsa. Il tutto con una vena sottile di ironia, che gioca con i generi e le letterature evocati dal racconto e chiaramente individuabili: il noir, la narrativa sudamericana e la letteratura di viaggio.