In un destino di ricerca dell’assoluto l’autobiografia dettata dalla coscienza, di Gianni Bonina
C’è Flaubert nel destino di Lalla Romano narratrice. Che nasce pittrice e si converte in poetessa non riuscendo però né nella prima né nella seconda veste a raggiungere ciò che riteneva il fine della sua vita: il senso dell’assoluto. Ci riesce quando Pavese le affida la traduzione di Tre racconti di Flaubert nei quali l’autrice piemontese scopre che la prosa può essere piegata alle ragioni e al rigore della poesia quando si serve degli stessi criteri di economicità e assolutezza. È una rivelazione perché la Romano non si dedicherà che alla prosa. Ma sarà una prosa che terrà conto delle acquisizioni venute dalla pittura e dalla poesia, nel senso di ciò che precisa circa la propria ricerca estetica: «Io dipingo sempre mentre guardo: allo stesso modo scrivo sempre». La chiave dell’assoluto sta con quelle del vero e del bello, due ideali che ha imparato a coltivare forse ancor prima, con le frequentazioni prima della filosofia e poi della pittura. Sicché ha ragione Ernesto Ferrero (che ha curato questo libro nato dagli stralci di una stratificata autobiografia contenuta in più opere e in più occasioni) quando indica in Lalla Romano un’artista prima che un’autrice che si è data per precetto il credo wildiano della vita che imita l’arte. C’è una lettera scritta a un’amica francese che appare rivelatrice in questa prospettiva: «Sono innamorata della bellezza che fiorisce improvvisa, subito travolta dal fluire delle cose e non posa che nell’opera d’arte». È dunque solo l’arte capace di ardire l’assoluto, il vero e il bello: una impresa che può essere tentata soltanto se il mondo viene visto attraverso la specola di una personale autobiografia. Ed è proprio questo passo che ha sempre tenuto (anche nella pittura: pensiamo agli autoritratti) la scrittrice quando dichiara a chiare lettere: «Volevo scrivere soltanto storie della mia famiglia. Nulla mi avrebbe mai interessata quanto il mio mondo». Indifferente alle scienze sociali e morali, alla storia come alla geografia, Lalla Romano ha ricercato nella vita la cifra della bellezza e della fantasia, che non è la vis imaginativa, la forza di inventare trame e personaggi, ma è il genio di «dare senso alla bellezza della vita». Una questione di stile insomma: che abbia una sua coerenza nell’invenzione letteraria come nella condotta quotidiana. Per queste ragioni l’autrice non si è mai risparmiata nel dare conto attraverso la letteratura della propria vita fino a scavare nelle commessure più fonde della propria famiglia con romanzi testimoniali quali Le parole tra noi leggere e Nei mari estremi, il primo dedicato ai difficili rapporti con il suo unico figlio, il secondo al proprio matrimonio. Ora, grazie all’uomo che le è stato vicino fino alla morte, Antonio Ria, riemerge la figura anche della pittrice che pur frequentando la scuola di Casorati è ai postmodernisti che si ispira, a quello sguardo che tiene la realtà oggettiva dentro la sfera di una immagata visione.