Fabio Marcotto, Masterà

06-12-2007
Il russo di Bolzano, di Georg Mair
 
 “Già la lingua”, dice, “è un capitolo a parte”. Anche la città in cui ha vissuto è un mondo a parte; grigia, ventosa, con giornate corte in inverno e molte belle donne. San Pietroburgo è una città in cui la vita si fa leggera solo nei brevi mesi d’estate. “Il clima segna l’esistenza”, dice Fabio Marcotto (44). Il bolzanino, che ha vissuto sei anni e mezzo a San Pietroburgo, ha lavorato all’Istituto Italiano di Cultura e insegnato all’Università Statale; ora parla un russo discreto. Nella biblioteca dell’Istituto ha conosciuto sua moglie, una russa.
 I racconti che lo hanno seguito in Italia sono nati nell’arco di cinque anni e narrano qualcosa di diverso: il grande silenzio, la comunicazione senza parole, le domande brevi e le risposte secche. “Masterà” è un libro che colpisce per la laconicità della lingua.
 Nei quattordici racconti è scomparsa l’esuberanza e la vena barocca che caratterizzano i suoi libri “Bar duce” e “Vino dentro”. Per dirla in modo esagerato: i russi sono gente che preferisce comunicare con una sola parola. “La gente”, dice Marcotto, “parla tacendo”. Una delle cose che l’ha stupito di più è stato il silenzio nel metro. Il suo libro è altrettanto ridotto, condensato.
 “Masterà” guarda la società russa con l’occhio di uno straniero, racconta di fatti bizzarri e tuttavia quotidiani, di amori nei quali gli uomini precipitano, di artigiani che svolgono il loro lavoro in silenzio, di scrittori italiani che a Pietroburgo si sentono grandi, di proprietari di casa che come cani rimangono fedeli al proprio inquilino o di bigliettaie che nei loro tram regnano come tiranni.
 I racconti sono permeati dall’ironia che caratterizzava anche i primi lavori di Marcotto; ad essa si è aggiunta una leggera malinconia, la consapevolezza della vanità dell’essere. Le storie raccontano di uomini che portano il peso del passato e che ancora oggi ammutoliscono repentinamente all’apparire dell’onnipotente militia. Lo straniero si riconosce velocemente: in Russia non è facile vivere inosservati o senza essere riconosciuti.
 Marcotto non racconta di sé, ma le esperienze che ha fatto in Russia sono confluite nei suoi racconti. L’idea che tra un occidentale e un russo ci saranno sempre più differenze che punti in comune, che bisogna lottare per sopravvivere. “Sono esperienze”, dice, “che cambiano una persona”. Forse non tornerà più definitivamente in Alto Adige. Vorrebbe tornare presto all’estero, dove, nell’Europa dell’Est, ha la possibilità di lavorare per lo stato italiano. Al momento fa il papà e ha un incarico presso la Libera Università di Bolzano.