Francesco Macciò, L'ombra che intorno riunisce le cose

01-05-2009
Traduzioni, di Catherine O' Brien

In Parole di Euridice, ripercorrendo il mito, ho immaginato una ragazza che non attende di essere liberata dalle tenebre, ma sceglie l’ombra piuttosto che la luce; alla seconda strofa è un’allusione ad Alfredino (Alfredo Rampi), il bambino precipitato il 10 giugno 1981 in un pozzo artesiano; la vicenda, conclusasi tragicamente, tenne col fiato sospeso l’Italia intera attraverso un’agghiacciante diretta televisiva.

L’altra sponda fa riferimento ai Boschetti, un luogo ormai inaccessibile o irriconoscibile nell’intrico della macchia, presso le sorgenti dello Scrivia, nel comune di Torriglia. Un remoto progetto, poi abbandonato, prevedeva di edificare in quel luogo il nuovo cimitero del paese.
In Torre del Lago Puccini viene evocata la storia di un uomo, uno strano individuo che svolgeva indagini con un pendolo per cercare tracce di una donna di non comune bellezza che aveva amato, non corrisposto. Una vicenda intricata di cui, mio malgrado, fui testimone una ventina di anni or sono (ad allora risale il nucleo costitutivo di questa poesia, pubblicata in Sotto notti altissime di stelle, La Spezia, Agorà, 2003), allorché con la figlia di quella donna, altrettanto bella e per giunta somigliantissima alla madre, venni ospitato nella celebre località versiliana, in una casa non lontana da quella in cui visse Giacomo Puccini.
 

Tre movimenti

 
Sei ancora quel bambino
che si attarda su un prato iridescente
e sei l’acqua, l’orizzonte
che si incurva, sei l’aria,
la materia, quel groviglio che dura
quando scivoli sull’erba verde,
sulle pietre arrotondate,
la nuvola leggera quando è l’ora
di lasciare la radura.
 
Non è distratto il nostro tempo,
come diceva gongolando un poeta
semisepolto dalla cenere,
è soltanto colpevole e indifeso:
tutti capovolti lì dentro un pozzo,
teste fasciate in un caleidoscopio
a scoppiare ridendo come rane.
 
Eppure ad ascoltarti saranno
altre orecchie serrate, occhi secchi,
altro tempo di nascondigli
nei cunicoli interrati... e nodi
stretti di spiragli e di sospiri.
 


 
Three movements
 
You are still that little boy
who lingers in an iridescent meadow  
and you are the water, the curving
horizon, you are the air,
the substance, the tangle that remains
when you slide over the green grass
and the curved stones,
you are the light cloud when it is time
to leave the glade.                                 
 
Not a heedless time is ours,
as a poet half buried by ashes
used to declare with glee,
it is just guilty and defenceless:
everyone upended there inside a well,
heads swathed in a kaleidoscope
to burst out croaking like frogs.
 
And yet to listen to you will be
other closed off ears, dried eyes,
another time for hiding places
in the buried tunnels… and tight
knots of chinks and sighs.
 

 

Parole di Euridice
 
In mezzo a questa stanza buia,
c’è qualcuno o forse nessuno,
sono io sola in uno specchio sfatto
e silenziosa torno indietro –
si fa avanti un sonno lento,
un mondo stretto in lontananza
come una sfera nell’ombra
più dolce della luce, nell’eco
di un canto che si infrange
in un cunicolo segreto...
solo i tuoi occhi a parlare del cielo
del sole dell’erba che nasce
e ingiallisce poi, e poi muore…
 
Ancóra l’eco di un canto, un lago
viola in fondo ai tuoi occhi
e quel vetro, quel vetro lì davanti
alle tue mani che quasi mi toccano –
sono immobili le braccia, impastate
le mie labbra, ma tu non chiamarmi,
torna indietro, altri bambini
scenderanno questo imbuto nero
fin dentro la terra... ora si voltano,
si avvitano nel vuoto, nell’oro
che screzia le pupille…
 


 
The words of Eurydice
 
In the midst of this dark room
there is someone or perhaps no one,
I alone appear in a faded mirror
then silently turn back –
a slow sleep moves forward,
a narrow world in the distance
like a sphere in the sweetest shadow
of light, in the echo
of a song that breaks down
in a secret tunnel…                             
only your eyes to talk about the sky
the sun the grass that grows
turns yellow and then dies…
 
Yet still the echo of a song, a purple
lake deep in your eyes
and that glass, that glass there in front
of your hands that almost touch me –
arms still, my lips are glued together
but do not call me,
turn back, other children will go down
into this black funnel
deep inside the earth… now they turn around,
they spin in the void, in the gold
that speckles through each eye…                 
 
L'altra sponda
                                    All, all are sleeping...
 
 Non era bene sistemarli là
più nessuno da anni
discende in quel verde franoso
e l’acqua quando si ingrossa
come rocce sbriciolate
li trascina a valle nel torrente
se li porta via in minuscole
lamelle lucenti sul fondo
che nel cielo rivelano gli uccelli
neri in giri lenti
 
in giri lenti un cerchio
di ombre risalgono leggere
sul finire di ogni giorno
e di ogni contesa e rimangono
intorno a un fuoco tardi fino a sera
a parlare piano di noi ancóra
giù nel mezzo della corrente
noi che in parole semplici
non sappiamo immaginare
nemmeno più una preghiera
 
una preghiera lungo il filo
fuori uso che ci guida all’altra sponda
dove il bosco ricopre tutto
e si raccoglie
nel cavo di una mano lo stupore
di quest’acqua indifesa
 


 
 
The other shore
 
                                   All, all are sleeping…
 
It was not good to place them there
since for several years no one any longer
goes down through that green landsliding
and when swelling up the water
drags them downstream in the torrent
like crumbled rocks
and carries them away along the bed
like minute shining scales
and in the sky they reflect
black birds moving in slow rotations
 
in slow rotations a circle
of shades rise up light again
at the close of each day
and of each argument and remain
around a fire until late evening
to talk quietly about us who are still
down in the middle of the stream
we who in simple words
are no longer able to imagine
even a prayer
 
a prayer along the disused
yarn that guides us to the other shore
where the wood covers all
and gathers
the wonder of this frail water
in the hollow of a hand
 
 
Torre del Lago Puccini
 
 
Ti chiama con il nome di tua madre
con fatica nel limo dei pensieri
e tace a guardarti sorpresa
tra i tavoli sgombri,
lungo un muro irreale di gechi
lunari, fermi all’agguato.
Dietro le tende sull’acqua una luce
tra le canne contro i pali
infraciditi, che sale dal lago
come un fiato sottile
che non dura sui vetri opachi
di una veranda ancóra aperta.
Non amo, non sughero d’esca
falciante, ma lame fonde di donna
a frugarlo come mani confuse
in ogni punto segreto, in ogni ombra
che un pendolo oscillando
lascia su di lei in una foto…
 
«Se l’amava? A Firenze – mi dici –
poi dappertutto sul Naviglio
più di quanto non mi ama…
Io quasi trent’anni oramai
che sempre più le somiglio…»
Poi giù in bicicletta
su nastri fruscianti di foglie e di rena,
un vento ferroso nella brughiera
di sale, di pietra…
  
 
Tower on Lake Puccini
 
 
He calls you by your mother’s name
but with difficulty in the sediment of thoughts
and falls silent to watch you taken aback
among the cleared off tables,
along an unreal wall of lunar
geckos in wait of ambush.
On the water behind the tents
between the reeds against the rotted
poles is a light that rises from the lake
like a gentle breath
which does not last on the opaque glass panes
of a veranda that is still open.
Not a fish-hook, not a cork of raking
tinder, but deep female blades
to rummage through it like muddled hands
in every secret place, in every shadow
that an oscillating pendulum
casts over her in a photograph…
 
«And did he love her? In Florence – you say –
then everywhere along the Naviglio
more than he loves me…
I am almost thirty now
and resemble her more and more…»
Then down by bicycle
over rustling ribbons of leaves and sand,
a ferrous wind in the heath
of salt, of stone…