Giacomo Leopardi, Il gallo silvestre

27-12-2010

Capodanno col botto ma con criterio, di Carlo Grande


“L’uomo è il più insociale di tutti gli animali”, scriveva Giacomo Leopardi, che pochi giorni fa – grazie a una traduzione di Jonathan Galassi recensita dal poeta e docente Peter Campion- è stato celebrato dal New York Times come poeta destinatoa entrare nell’olimpo dei più amati dal mondo anglosassone,alla pari di Rilke e Baudelarie. Il genio di Recanati nutriva una profonda “con-passione” per gli animali, i nostri compagni di viaggio. Ne “I Filosofi, e il cane” censura la prosopopea degli intellettuali che vedono solo i difetti altrui: vengono ripresi da un cane entrato nella stanza, l’animale prende umilmente la parola per non essere cacciato a bastonate.
I nostri amati cani (nei ritratti dei Lord inglesi spesso comparivano loro, mica mogli e figli) ci sono vicini anche a Capodanno, accoccolati sotto il tavolo o vicino al termosifone (anche i gatti, dunque). Cacciati solo dai primi botti, rumoroso relitto della festa della luce. Pensiamo a loro, prima che scappino sotto il letto.  Come faceva Ivan Graziani, che adorava il suo pastore tedesco Irko, impazzito di dolore alla morte del padrone, il 1° gennaio 1997 (anch’essa da ricordare). Un accordo e Irko accorreva, lo ascoltava cantare di una certa Agnese, di addii a Lugano, di pigri e malelingue. E’ rimasto due giorni immobile nella camera ardente, poi è scappato, randagioa Novafeltria.
Leopardi e Ivan (accostamento “pop” tra poeti marchigiani) non erano buonisti ma conoscevano la compassione, disegnavano gli animali: un bellissimo e recente libro di Manni, “Giacomo Leopardi. Il gallo silvestre e altri animali”, ce ne parla. L’affetto di un cane è una cosa semplice, non servirebbero due artisti per ricordarlo. Ma si sa, l’intellettuale è uno che rende complesse le cose semplici, l’artista sa rendere semplici le cose complesse.
Così, per gli auguri, affidiamoci a un altro poeta, Clemente Rebora: “Vorrei vivere con voi una grande bontà bene auspicante, e una profonda saggezza di quiete in codesto simbolico trapasso; invece siamo lontani, e un chiacchierio grullo di brindisi posticci rintrona il nostro capo (…). Io tuttavia veggo diritto nel tuo spirito e, come scorgo tanta bellezza, m’intenerisco; ma io mi rifiuto di scarabocchiarti gli inchinevoli auguretti di occasione; tra anime né facili né mediocri essi sono perenni e taciti, e non conoscono cerimonie”.