Giacomo Leronni, La polvere del bene

26-08-2009
L'equilibrio a fatica, di Stefano Savella

Pubblicata lo scorso anno nella collana Pretesti di Manni Editori, Polvere del bene (pp. 96, euro 12) è la prima raccolta poetica di Giacomo Leronni, quarantacinquenne poeta di Gioia del Colle, nel Barese, data alle stampe dopo aver pubblicato, in particolar modo tra gli anni 1999 e 2002, alcune liriche di questa raccolta su riviste, perlopiù specializzate, e dopo aver partecipato con buon successo a diversi premi letterari (si ricordano qui soltanto il Premio Nazionale di Poesia “LericiPea”, conseguito nel 1998 per la categoria poesia inedita - in giuria era presente, tra gli altri, Stefano Verdino, tra i più acuti studiosi dell’opera di Mario Luzi, nonché curatore delle sue opere - e per il quale è semifinalista anche quest’anno, e il Premio “A. Contini Bonacossi” che sarà assegnato all’autore per questa stessa raccolta il prossimo 6 settembre). D’altra parte, proprio la presenza su riviste di assoluto valore negli anni scorsi (si citano le ‘pugliesi’ «l’immaginazione», storica rivista poetica della Manni Editori, e «incroci», della quale abbiamo già avuto modo più volte di parlare), e su una antologia poetica regionale ben curata come Puglia in Versi (Gelsorosso 2009), rendono la poetica di Leronni tra le più significative della più recente produzione pugliese: (che Francesco Giannoccaro, nella prefazione, definisce «un capitolo originale, non secondario, nel panorama poetico dei nostri giorni»): un riconoscimento, del resto, già apertamente manifestato negli anni scorsi nei confronti dell’autore da critici letterari di assoluto rilievo anche nazionale (oltre Verdino, si ricordano qui en passant Bàrberi Squarotti, Magrelli, Pontiggia, e i poeti Vittorino Curci e Paolo Ruffilli).

Si parlava prima dell’«incrocio» tra l’autore della raccolta e la poetica di Mario Luzi, ottenuto tramite la presenza di Stefano Verdino nella giuria di un premio letterario. L’incipit della raccolta, in corsivo, sottolinea con evidenza il debito con il poeta fiorentino, che nel resto della raccolta viene diffuso nei versi, in parole chiave, in locuzioni di marca tipicamente luziana, in particolare del Luzi, citato in esergo, del Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. Ma la poesia di Leronni brilla anche, e soprattutto, di luce propria: e il percorso che comincia dalle prime liriche così in ‘movimento’, i versi che trattengono così a fatica l’equilibrio che si scompone poi nelle chiusure («noi, spossati / nel budello della memoria / rischiamo di annegare», «cos’è questo frastuono di idee / che s’insinua nelle pieghe / già ammansite del corpo, / cos’è questo insistere vano», «Avvizzisce la mente», «la stoffa s’impiglia, cede») sembra dipanarsi poi nell’ultima sezione della raccolta, «Nella polvere del bene / [...] ti ritiri con un soffio», o rimane forse solo la cenere, «Nella penombra del bene», di quel «fuoco della gravità», della «brace dell’alterità», della «fiamma della limpidezza» che rifulge nell’ultima, pardon, penultima lirica della raccolta. È lo schiudersi nell’«alba della parola» di una lunga notte «che regge la sua missione / senza urlare», che «non ha ancora deriso» l’«involto di carne», la notte colma di «alterigia» quando, in una delle liriche più significative di tutto il volume (Lisa la giacca, gualcito il telo), «strappi e tosse assalgono / l’orizzonte, imbrigliano la luna» in un drammatico frangersi di tutte le cose. D’altra parte, pur piuttosto sotto traccia, conserva il proprio spazio la quotidianità, appunto, delle cose, malgrado il loro precario equilibrio nel mondo: è questo il «doppio percorso parallelo: in sé e fuori di sé» disegnato da Giannoccaro nella prefazione, secondo il quale Leronni «non si limita a registrare eventi [...] Accetta invece la sfida dell’esistere, si logora nel confronto, sapendo che si può anche soccombere. Purché si salvi almeno un’idea o un’emozione, all’insegna di una ricerca conoscitiva compiuta passo dopo passo, senza affanni».