Giancarlo Tramutoli, L'ultimo Tram

10-02-2010

L'estro solitario di Tramutoli, di Andrea Di Consoli

Ogni tanto mi diverto – tra un lavoro e l’altro – a rivolgere alcune domande agli scrittori amici. Sono domande semplici, di vita quotidiana, che però aiutano a capire meglio l’umanità domestica dello scrittore, la sua vita privata – magari a futura memoria, quando qualcuno sentirà la necessità di approfondire la vita di questo scrittore.
Questa volta ho intervistato Giancarlo Tramutoli, poeta e narratore nato a Potenza nel 1956. Di Tramutoli mi ha sempre incuriosito la vita appartata, l’estro solitario. Nell’intervista si parla anche di un bambino appena nato; e quindi questa intervista è anche un esplicito “benvenuto” al figlio di un poeta lucano.
Giancarlo, a che ora ti svegli la mattina?
Da quando è nato mio figlio, decide lui, tra le 5.30 (se va male) e le 7.30 (se va bene).
Le prime cose che fai appena sveglio?
Caffè, seduta al cesso, due tiri a un Toscanello alla grappa, doccia. Biberon per il bimbo.
C’è una persona che non vorresti mai incontrare appena esci per strada?
No. Ora, poi, abito nello stesso palazzo dove lavoro. Devo solo girare l’angolo.
Quali sono i clienti della banca dove lavori che ti mettono di buonumore?
Quelli disponibili alle mie battute di spirito. Complici nel trascendere la routine reciproca.
E quali quelli che ti mettono di malumore?
Quelli che ti chiedono le cose da fare tutte insieme. Allora io uso la metafora del fruttivendolo. Dico al pedante ansiogeno che mi sta di fronte di seguire la lista: prima le patate, poi le arance, la rucola. Alla fine gli odori.
Come sono le ragazze di Potenza?
E chi le conosce?
E i ragazzi?
Idem.
Esiste una società letteraria, a Potenza?
No. E aggiungerei, purtroppo. Ognuno sta nel suo più o meno splendido isolamento.
Ti piace parlare al telefono?
No. Anzi, è una cosa che mi stressa assai. Mi si azzerano i neuroni. Faccio fatica anche a ricordarmi come mi chiamo.
Il massimo delle ore che sei stato senza parlare.
C’è una leggenda familiare che si tramanda e che dice che avrei cominciato a parlare solo a cinque anni. (Ora dicono che parlo troppo). Di recente son stato anche interi sabati e domeniche senza parlare a nessuno.
Cosa hai provato quando è nato tuo figlio?
Al primo “nguèèè” ho pensato: “questa personcina avrà bisogno di me”. Mi ha dato subito un ancoraggio all’esistenza che non avevo e mi sta alleggerendo del mio eccessivo ego. Sorpresa, gioia e preoccupazione delle responsabilità (tutte insieme).
Quali sono le tue paure più forti in questo momento?
Non ho paure particolari. A parte le solite, inevitabili, malinconie esistenziali.
Qual è la parte del tuo corpo che senti che sta invecchiando?
La memoria… qual era la domanda?
Qual è la parte del tuo carattere che non ti piace?
Una certa suscettibilità e un distacco eccessivo dalla realtà per autodifesa.
E la parte che invece ti piace di più?
La curiosità e la capacità di creare tutti i giorni qualcosa di nuovo.
Ti fai spesso le analisi del sangue? Hai paura del verdetto?
Mah, ogni due anni più o meno. No, non sono ipocondriaco. Direi che per comodità e pigrizia son più fatalista.
Quali malattie temi di più?
Soprattutto la cecità. Io senza occhi sarei un uomo morto. Leggere, scrivere, dipingere. Questo faccio.
A che età speri di morire?
A vent’anni pensavo che una buona età sarebbe stata 50, 55. Poi i figli ti allungano il futuro e ora direi, fino a quando sarò lucido e autosufficiente.
Come speri di morire?
Nel sonno. Al calduccio. Comodo.
Ti definiresti nevrotico? E se sì, di quale nevrosi soffri?
Mah, la classica inquietudine del creativo, sempre insoddisfatto. Ma la nevrosi è utile, è la benzina dell’artista. Lo diceva già Cummings. Il poeta capitalizza la nevrosi. A star troppo tranquilli si diventa scemi.
Ha davvero senso scrivere?
È una cosa a cui non penso più. Lo si fa come un’esigenza fisiologica. Respirare bene, pisciare, dormire, eccetera. Mi ritrovo nella bella definizione: “Scrivo per sapere ciò che penso”.
Hai mai pensato di chiuderti nel mutismo e di rompere le comunicazioni col mondo?
Ma più o meno lo faccio. I riti sociali mi affaticano. Una grande perdita di tempo e io di tempo netto per far quello che mi piace ne ho già poco.
Dimmi le persone pubbliche che stimi di più in Basilicata in questo momento.
Come ti dicevo, non avendo una vita sociale, la persona che in questi ultimi venti anni ho più frequentato, è anche quella che più apprezzo: è Gaetano Cappelli. È il miglior romanziere italiano in circolazione e meno male che ora sono in tanti a pensarlo.
Ami mangiare? Sei smodato?
Sono per un piatto unico, (pasta soprattutto) cucinato con accuratezza.
Ami bere? Sei alcolizzato?
Sì. Vino rosso. Alcolizzato, ancora no.
Ti piacciono i soldi?
Quelli che mi guadagno. Mi bastano.
Sei irascibile?
A volte. Specie di fronte alla cretineria e alla burocrazia. Cose che spesso vanno insieme.
Quando ti arrabbi spacchi le cose?
È successo. Ma ora mi controllo meglio.
Valeva la pena nascere?
Direi di sì. In fondo mi sto divertendo.
Cosa ti auguri per tuo figlio?
Che possa avere il lusso di vivere libero e appassionato.