Quella sana follia necessaria per sopravvivere
Qualcosa di grottesco emerge dal fondo di ognuno dei racconti di Gianfranco Pallara racchiusi in Una barba inutile. Quel grottesco che si nasconde dietro vite all’apparenza comuni, plausibili rispetto ad un mondo che si vorrebbe raccontare fin troppo omologato. In realtà l’univocità dell’essere umano è incontrovertibile e non omologabile nella sostanza, ma solo in alcune forme. E quel lato libero di ognuno corrisponde ad una sana follia, ad una forza che aiuta a porsi in atteggiamento ribelle di fronte a contingenze uniformanti, a resistere ad una società che quasi mai corrisponde le nostre precise aspettative.
Ecco i personaggi di Pallara, sospesi nelle loro lente esistenze, raccontano molto delle difficoltà ad annaspare nei meandri in cui si ritrovano, con un tarlo divorante diverso ognuno nel proprio intimo con il quale fare i conti. E i conti nell’arco di un racconto ben scritto, e impostato con i tempi di un romanzo, si possono ben fare. L’autore sceglie, infatti, di prendersi tutto il tempo di approfondire la storia dei “suoi” uomini, di raccontarne i caratteri e le reazioni, gli incubi notturni che poi si materializzano. Il tutto con una ironia fulminante e crudele.
Si legge dentro a queste sei storie, diverse riguardo al tempo e allo spazio, una voglia di approfondire al meglio, una lettura e rilettura dei testi che infatti, si legge nel retro di copertina, hanno visto “una gestazione di dieci anni”. Non a caso l’autore è un docente di Lettere.
Eusebio, protagonista della storia che dà il titolo alla piccola antologia, per una vita ha portato la barba in segno di protesta e di vicinanza ai rivoluzionari cheguevaristi, ma in realtà la scelta di tagliarla nei giorni delle delusioni e del crollo delle ideologie diventa l’atto di rivolta più grande che potesse fare. E da lì comincia la sua crudele rivoluzione, questa volta meno utopistica.
Erica, madre di Orlando, riesce a trasformare il primo giorno di scuola del figlio in una vera tragedia. Fuori da ogni rigore imposto da una normale salute mentale, mette in scena le più esasperate angosce di una donna abbandonata che ha riversato sul successo del proprio discendente l’unico scopo della propria vita.
Sono questi solo due emisferi diversi di sei storie dal taglio antico, frutto di una mentalità e di un linguaggio un po’ “classici” e lontani dai tempi rapidi dei narratori contemporanei; racconti che però nel finale risultano sempre assolutamente imprevedibili. Esibendo quel lato grottesco e quella sana follia con cui lo stesso autore evidentemente si difende.